di Andrea Spinelli Barrile
C’è forte incertezza sul destino monetario dei Paesi golpisti del Sahel che lo scorso 28 gennaio si sono ritirati dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Domenica il presidente nigerino ad interim Abdourahamane Tiani, ha detto in un’intervista alla televisione di stato che l’abbandono del franco Cfa sarebbe un segno di sovranità e un passo necessario per allontanarsi dalla “colonizzazione” francese e anche il suo collega burkinabé Ibrahim Traoré, intervistato qualche giorno fa, ha paventato l’ipotesi di un nuovo strappo, proprio sulla moneta.
“Non è solo la valuta. Tutto ciò che ci mantiene in schiavitù, spezzeremo quei legami”, ha detto Traoré durante l’intervista. Dopo i colpi di Stato, la cacciata delle missioni francesi e delle Nazioni unite, una politica di scontro con l’ex-colone e l’occidente, l’apertura alla Russia e lo strappo con Ecowas, ora è il franco Cfa a entrare nell’obiettivo politico delle giunte militari saheliane. Già lo scorso novembre, i ministri delle Finanze di Burkina Faso, Mali e Niger hanno dichiarato che avrebbero valutato l’opzione di creare un’unione monetaria e gli alti funzionari di tutti e tre i Paesi hanno, a vari livelli, espresso sostegno all’abbandono del franco, che è legato all’euro. Due funzionari governativi di questi Paesi saheliani hanno detto all’agenzia Reuters che il comitato incaricato di studiare una nuova unione monetaria non si è ancora mai riunito.
Sicuramente è un processo che è più facile da propagandare che da fare: andrebbe necessariamente creata una nuova banca centrale, che dovrebbe gestire la delicata transizione dal franco alla nuova valuta, formulare una politica monetaria e decidere cosa fare riguardo agli oltre 4,6 miliardi di dollari di obbligazioni regionali in circolazione denominate franchi. Il Burkina Faso ha oltre 1,2 trilioni di franchi (1,99 miliardi di dollari) in obbligazioni in circolazione. Il Mali ha poco più di 1 trilione di franchi, mentre per il Niger sono 498 miliardi di franchi.