“Downstream to Kinshasa”, il documentario di un fuoriclasse

di AFRICA
Downstream to Kinshasa

Nel giugno del 2000 le truppe ugandesi e ruandesi combatterono una devastante battaglia a Kisangani, città del nord-est della Repubblica democratica del Congo. Il conflitto faceva parte della sanguinosa Seconda Guerra del Congo. Si trattò di un conflitto devastante, tanto che a volte viene chiamata la “guerra mondiale africana”. La Corte internazionale di giustizia condannò l’Uganda a pagare un miliardo di dollari alle vittime civili per il risarcimento e il riconoscimento delle atrocità subite, ma venti anni dopo i sopravvissuti continuano a lottare per ottenere giustizia e alcuni di loro sono partiti per la capitale, Kinshasa, decisi a far valere la loro pretesa legale.

Un immenso talento

La loro storia ci è resa con straordinaria intensità da un documentario, Downstream to Kinshasa (en route pour le milliard) di Dieudo Hamadi. A sette anni dal suo debutto come documentarista nel 2013, il regista ha prodotto un’opera ineguagliabile che cattura scorci della vita congolese contemporanea. Nell’esaminare le elezioni (Atalaku, 2013), le scuole (National Diploma, 2014), la violenza contro le donne e i bambini (Mama Colonel, 2017) e la mobilitazione politica (Kinshasa Makambo, 2018), Hamadi ha raccontato storie individuali che parlano di esperienze e storie collettive. Con Downstream to Kinshasa, ha perfezionato questo approccio. Qui, il suo lavoro non si concentra sulla geopolitica del passato ma piuttosto sul presente e lo fa in modo molto personale per il tramite di un gruppo di persone di Kisangani mutilate dai pesanti bombardamenti e dagli spari.

La voce alle vittime

Attraverso il teatro musicale, il regista restituisce la voce alle vittime. Dapprima riunisce su un palcoscenico nero uomini e donne che ci guardano e cantano. Di sangue versato, di soldi dimenticati. Poi la marcia si mette in moto, con le stampelle, con le protesi, oltrepassando le vicine fosse dei morti. Ogni metro percorso è un atto di ribellione. Indimenticabile il barcone stracarico che solca il fiume e riproduce esattamente la quotidianità africana: la donna che setaccia il riso, gli uomini che giocano con un bimbetto, quelli che cercano di rappezzare i teli di plastica per proteggersi da un sole implacabile. La grande bellezza delle immagini riesce a farci dimenticare a tratti la tragedia di questa povera gente. Quando infine questo corteo pacifico ma agguerrito giunge a destinazione e sale finalmente le scale del Parlamento nazionale, i poliziotti tentano invano di respingerlo.

Non sorprende che questo film del 2020, coprodotto da Congo, Francia e Belgio, sia stato scelto nella selezione ufficiale del Festival di Cannes, di Toronto, di Leipzig, dei Popoli e dell’IDFA. E innumerevoli sono i festival a cui Hamadi ha partecipato con i suoi lavori precedenti e i premi che si è aggiudicato: nonostante sia giovane (è nato nel 1984), ha già ampiamente mostrato un grandissimo talento e professionalità. Le sue storie sono potenti, intense, autentiche. C’è da augurarsi che il suo ultimo film giunga presto nelle sale o almeno su Netflix, perché la sua testimonianza preziosa non può essere ignorata.

(Annamaria Gallone, autorice dell’articolo, sarà relatrice del seminario, organizzato dalla rivista Africa, “Schermi d’Africa”. Per info e prenotazioni, clicca qui

Condividi

Altre letture correlate: