di Claudia Volonterio
Sudafrica, anni Cinquanta: siamo in pieno apartheid, ma nel Paese si accende una luce di speranza: si chiama “Drum” e si sarebbe affermata da lì a poco come la prima rivista di lifestyle africana, una voce di riferimento per riflettere sui cambiamenti che stavano avvenendo tra le nuove comunità urbane nere sudafricane e africane in generale, combinando fotogiornalismo investigativo e di approfondimento.
Sessantaquattro anni fa nasceva la rivista Drum, destinata a lasciare una traccia nella storia dell’editoria del continente. Nominata dapprima “The African Drum” e fondata dal giornalista Robert Crisp, non ebbe subito il successo sperato. Le cose cambiarono con l’intervento di Jim Bailey, che ha fondato la nuova sede della redazione a Johannesburg e cambiò il nome in “Drum”, rendendola un prodotto editoriale dinamico, lungimirante, frizzante e innovativo. Questa rivista ebbe un grande successo grazie alla collaborazione di scrittori e fotografi che cambiarono il modo in cui le persone di colore erano rappresentate nella società. Il valore della rivista risiede proprio nel cambio di sguardo e prospettiva. Il magazine, come riporta Harpers Bazaar, ha saputo raccontare la popolazione urbana in modo mai visto fino ad allora.
Il suo impatto fu talmente ampio che si parla proprio di “fenomeno Drum”. Il magazine fu citato da una testata importante come il Time, in un estratto del 1952, riportato dal portale South Africa History Online, si legge. «Nelle brulicanti baraccopoli nere e colorate di Johannesburg, dove giornali e riviste sono una rarità, la scorsa settimana un camion carico di riviste ha attraversato rombando le strade non asfaltate. Ovunque si fermasse, centinaia di persone si accalcavano intorno, comprando la rivista: “The African Drum.” Da questo estratto si evince l’impatto che questa rivista, in gran parte costituita da fotografie, fosse riuscita ad avere.
Il magazine divenne ben presto la rivista più letta in Africa dell’epoca. Sempre il Time nel 1959 riporta la cifra di 240mila copie distribuite in paesi come Kenya, Ghana, Nigeria e Sierra Leone.
Per garantire che Drum riflettesse davvero la vita dei suoi lettori, riporta South Africa History Online, venne istituito un comitato editoriale che includeva alcune delle principali figure politiche e culturali dell’epoca: Joe Rathebe, Dan “Sport” Twala, il dottor Alfred Xuma e Andy Anderson.
Il successo della rivista è attribuibile in gran parte alla qualità del materiale fotografico, componente centrale di Drum, che riusciva con l’immagine a restituire ad un pubblico vasto quanto accadesse nel mondo della musica, dello spettacolo, facendo luce anche su politica e società, stabilendosi come importante documento delle azioni di protesta dell’epoca. Questa, grazie alla forza dell’immagine, potevano facilmente arrivare anche alle persone analfabete. I movimenti nazionalisti africani e le loro azioni di protesta ebbero un eco importante grazie a Drum, potenzialmente in grado di raggiungere chiunque nel continente.
La rivista, spiega South Africa History Online, è stato un importante veicolo per dare voce alla resistenza durante gli anni ’50, come il massacro di Sharpeville nel 1960. Ha unito e mobilitato la resistenza. Tra i maggiori contributi, le fotografie che accompagnavano la dichiarazione di Nelson Mandela, nel numero di agosto 1952.
Nell’epoca della segregazione in Sudafrica Drum fu inoltre un esempio di luogo di lavoro sicuro e libero dalla discriminazione, grazie all’ambiente e al personale della rivista, libero dalle logiche dell’apartheid che si ritrovava purtroppo appena usciti dagli uffici. La storia di questo primo lifestyle magazine africano è diventato nel 2004 un film, “Drum“. Oggi la rivista esiste ancora ma in versione online ed è più incentrata su notizie di economia e intrattenimento.