«Aiutare l’Africa non significa mantenere legami speciali con i despoti di questo continente. Perché la Francia ha scelto di aiutare gli hutu genocidari contro i tutsi ? Clinton ha riconosciuto l’errore in Ruanda, noi francesi no. Perché Parigi si è schierata dalla parte di Bashar Assad per dichiarare oggi che la Siria è il nostro peggior nemico?». Il filosofo André Glucksmann, morto la scorsa notte all’età di 78 anni, aveva parole dure nei confronti della politica estera francese. Soprattutto delle posizioni del Quay d’Orsay verso l’Africa e il Medio Oriente. Per lui, protagonista del Maggio 1968, punto di collegamento fra due generazioni di intellettuali (quella di Sartre, Aron e Foucault e dei «nouveaux philosophes»), la politica estera non poteva ignorare i diritti umani. Ma Parigi era lontana da quell’orizzonte.
Se Gluksmann politicamente ha oscillato dall’estrema sinistra al sostegno a Nicolas Sarkozy, sui diritti umani ha sempre mantenuto la barra ferma. A cominciare da quando negli anni Settanta lancia un appello al presidente francese Valéry Giscard d’Estaing per un intervento in favore dei profughi vietnamiti ribattezzati i «boat people». Per continuare negli anni Novanta, con una critica sempre più serrata contro il «pacifismo».
Il totalitarismo è il nemico da sconfiggere e per batterlo Glucksmann non esita a chiedere l’intervento armato in quelle circostanze che esigono uno schieramento militare a difesa dei più deboli. È il caso della guerra nel Kosovo nel 1999, che lo vede invocare un attacco contro la Serbia, ma anche della guerra in Iraq nel 2003 nel corso della quale si schiera apertamente a favore dell’intervento per abbattere il dittatore Saddam Hussein. Appoggia con decisione anche gli indipendentisti ceceni, prendendo una posizione contraria alla politica oppressiva di Vladimir Putin (e per questo motivo toglierà il suo appoggio al Presidente Sarkozy).
Queste sue posizioni lo portano a scontrarsi con la politica estera francese incapace, a suo dire, di difendere i diritti dell’uomo. «La Francia – ha dichiarato in un’intervista al periodico “Paris Match” – non ha più politica africana, né una politica araba o europea. I suoi fischi politici l’hanno isolata e resa impotente».