A Parigi è morto Nzita Henriques Tiago. Ai lettori italiani forse questo nome dirà poco. In realtà, la sua è una delle ultime figure del movimento di indipendenza dei Paesi africani al quale ha partecipato come leader della lotta per l’autodeterminazione di Cabinda, l’enclave angolana, ricca di petrolio, incastonata tra la Rd Congo e la Repubblica del Congo.
Nato 14 luglio 1927 nella missione di San Jose De Luali (al centro di Cabinda) in una famiglia modesta, inizia la sua attività politica a fianco del leader congolese Patrice Emery Lumumba a Stanleyville (Congo belga). Insieme lottano per la liberazione dal giogo belga. Vive intensamente il periodo delle indipendenze. Frequenta i leader politici africani del suo tempo Kwame Nkrumah, Léopold Sédar Senghor, Jonas Malheiro Savimbi, Agostinho Neto, Leon Mba, Idi Amin, Jean-Bedel Bokassa, Holden Roberto.
Partecipa alla lotta per la liberazione dell’Angola, ma a partire dagli anni Sessanta inizia a rivendicare l’indipendenza di Cabinda. Nel 1963 è tra i protagonisti della nascita del Flec (Frente de Libertação do Estado de Cabinda) che apre il primo ufficio a Kinshasa (ex Zaire) e, nel 1973, a Tchiowa, la capitale di Cabinda. Nel frattempo, Nzita Henriques Tiago viene arrestato e imprigionato a São Nicolau in Angola, centro di prigionieri politici. Durante il colpo di Stato in Portogallo (1974) viene rilasciato. Nel 1974, con gli accordi di Alvor, cerca, insieme agli altri leader, di riunire i vari movimenti dell’Angola, ma non arriva a nulla. Nel 1975, con l’indipendenza dell’Angola, l’Mnla, la formazione ribelle filosovietica, invade Cabinda, insieme a russi e cubani.
Da allora, Nzita Henriques Tiago non smette di invocare l’indipendenza di Cabinda. Diventa il leader carismatico della lotta per l’autodeterminazi
one del popolo di Cabinda. Secondo lui, l’enclave è stata annessa al Portogallo (e quindi all’Angola) nel Congresso di Berlino nel 1885. Si tratterebbe quindi di un sopruso.
Più volte fa appello all’Unione africana, alla Francia e al Portogallo perché sostengano la sua lotta. La comunità internazionale, però, sembra non prenderlo seriamente e continua a sostenere Luanda. Alla base di questa indifferenza il fatto che Cabinda è il vero scrigno dell’Angola in quanto è nella piccola enclave che ci trovano le maggiori riserve petrolifere angolane. «La comunità internazionale – sosteneva – sostiene Luanda e il petrolio e dimentica che i 300mila abitanti di Cabinda vengono trattati come schiavi».