di Silvana Leone
I keniani andranno alle urne il 4 marzo per eleggere il presidente, i membri del senato, del parlamento e i governatori delle province. In Zimbabwe il 16 marzo si voterà invece il referendum sulla nuova costituzione, con la speranza che a luglio si possano finalmente tenere le elezioni presidenziali e parlamentari.
In ogni paese le elezioni sono legate alla propria storia politica e al contesto socio-economico, nel caso di Kenya e Zimbabwe però ci sono alcune analogie. Le elezioni del dicembre 2007 in Kenya si conclusero in maniera controversa, con più di 1.000 morti, la mediazione dell’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan e un governo di transizione che doveva sovrintendere alla stesura di una nuova costituzione.
I cittadini dello Zimbabwe invece si sono recati alle urne nel marzo 2008 per eleggere il presidente e i membri del parlamento. Mentre in parlamento aveva vinto il Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC), la competizione presidenziale fu completamente manipolata. Il presidente Mugabe aveva perso al primo turno con il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai e ciò che seguì fu un bagno di sangue in cui furono uccisi circa 500 sostenitori dell’opposizione. Tsvangirai decise allora di rinunciare alla sfida elettorale e Mugabe divenne quindi l’unico candidato al ballottaggio. Dopo la riluttanza della comunità internazionali a dichiarare le elezioni legittime, si costituì un governo di coalizione grazie anche alla mediazione dell’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki.
Altre analogie nella storia politica dei due paesi sono: la lotta armata contro la colonizzazione britannica, una costituzione indipendente negoziata con il Lancaster House Agreement (nel 1963 per il Kenya e nel 1979 per lo Zimbabwe) e un lungo periodo di post-indipendenza caratterizzato dal predominio di un partito unico.
Dopo una dura resistenza a intraprendere azioni politiche che comprendessero le riforme costituzionali, entrambi i presidenti, Daniel arap Moi in Kenya e Robert Mugabe in Zimbabwe, cedettero alla pressioni per riscrivere la costituzione. Entrambe le bozze della costituzione furono respinte, nel 2000 in Zimbabwe e nel 2005 in Kenya. Le elezioni del 2007 e 2008 si svolsero senza aver intrapreso riforme significative e portano a disastrose e sanguinose conseguenze.
I keniani avrebbero dovuto adottare una nuova costituzione entro un anno dall’entrata in vigore del governo di coalizione, ma è stata approvata due anni dopo il referendum nel quale la maggioranza degli elettori ha votato per la costituzione. In Zimbabwe invece, una nuova costituzione avrebbe dovuto essere riscritta entro venti mesi dalla firma dell’Accordo Politico Globale (GPA) del settembre 2008, ma il testo definitivo sarà presentato all’elettorato soltanto adesso – quasi quattro anni dopo l’inizio del processo.
Mentre il processo di revisione costituzionale in Kenya è stato altamente partecipativo, con il contributo di ampie fasce di popolazione e una grande affluenza alle urne durante il referendum, non si può dire lo stesso per lo Zimbabwe, il processo è stato così aspro da minare gravemente la partecipazione dei cittadini. La violenza e l’intimidazione, soprattutto da parte del partito di Mugabe, l’Unione Nazionale Africana Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF), hanno messo a tacere le voci di dissenso. L’attuale testo potrebbe essere approvato nel referendum del 16 marzo, anche se ci sono dubbi sulla sua legittimità.
In Kenya, la nuova costituzione ha dato vita ad alcune importanti riforme, come quella per nominare i membri della Commissione Elettorale e la Commissione di Attuazione Costituzionale (CIC). In Zimbabwe pochissime riforme hanno avuto luogo dopo la formazione del governo di coalizione. Se le elezioni si terranno nel mese di luglio, ci sarà poco tempo per intraprendere le necessarie riforme politiche ed elettorali e la Commissione Elettorale non avrà la credibilità per condurre le elezioni in modo imparziale. L’apparato di sicurezza dello stato è stato a lungo manipolato per servire gli interessi del partito al potere e i media continuano ad operare in un ambiente molto ostile.
Prendendo in considerazione tutto questo, ci sono una serie di fattori che potrebbero portare a risultati notevolmente diversi nei processi elettorali dei due paesi.
In Kenya, gli accordi sono stati condivisi tra il presidente Kibaki e il primo ministro Odinga, il che ha permesso di intraprendere alcune riforme importanti. In Zimbabwe, Mugabe non ha mai veramente abbandonato il potere esecutivo ed è stato in grado di bloccare le riforme necessarie perché il primo ministro, Tsvangirai, è stato trattato come un partner minore della coalizione.
Mentre principali attori politici in Kenya sono sotto accusa da parte della Corte Penale Internazionale (CPI), in Zimbabwe la Commissione per la Riconciliazione è stata in gran parte inefficace – con i responsabili delle violenze del 2008 che continuando ad agire impunemente.
In Kenya sarà ancora una volta cruciale l’appartenenza etnica, con più di quaranta gruppi etnici e senza un singolo gruppo a rappresentare una maggioranza decisiva, l’appartenenza potrebbe essere determinante per i risultati elettorali. Si spera che questa volta le istituzioni possano mettere in campo misure sufficienti a tutelare il processo democratico. In Zimbabwe invece il rischio maggiore di insuccesso è rappresentato da una mancata preparazione del paese e delle sue istituzioni a portare avanti le elezioni in maniera credibile.
Fonte: Open Society Initiative for Southern Africa (OSISA)