Patrick George Zaky, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato in Egitto per propaganda sovversiva su Facebook, rimane in prigione. La custodia cautelare in carcere è stata rinnovata per i prossimi 15 giorni. Lo ha reso noto la sua legale Hoda Nasrallah. La decisione è stata presa dopo un’udienza presso la Procura per la Sicurezza dello Stato al Cairo. In procura erano presenti diplomatici italiani, dell’Ue e svizzeri.
Zaky sarà detenuto nel complesso carcerario del Cairo, quello di Tora, dove è stato trasferito dalla prigione di Mansura. La famiglia del 27enne ha saputo del suo trasferimento solo giovedì mattina, una volta arrivata a Mansura per far visita al ragazzo.
Il carcere di Tora è una sorta di girone dantesco. È un complesso di quattro prigioni, un ospedale militare, dove fu recluso l’ex presidente Hosni Mubarak, e un carcere di massima sicurezza noto come «Lo Scorpione» e soprannominato dai detenuti «la tomba». Proprio quest’ultimo padiglione è stato oggetto di denunce da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Al suo interno, i detenuti sarebbero sottoposti a gravi abusi e a torture. È qui che vengono imprigionati attivisti, intellettuali e oppositori di ogni tipo. Nelle sue celle sono stati portati i sostenitori della Fratellanza musulmana durante la dura repressione dopo la caduta del presidente Mohamed Morsi e l’ascesa al potere di Abdel Fatah al-Sisi.
«Patrick George Zaky resterà nel carcere di Tora in una sezione per detenuti politici – ha detto Hoda Nasrallah –. Comunque non è allo Scorpione. Questa è una notizia positiva».
Ciò potrebbe significare che le autorità egiziane ritengono che la posizione di Zaky sia meno grave di quella ipotizzata in origine. Inizialmente lo studente era stato accusato di «diffusione di notizie false», «incitamento alla protesta» e «istigazione a crimini terroristici» sulla base di alcuni post su Facebook, attribuiti a un account che la difesa sostiene essere falso.
Rimane il fatto che Il Cairo impiega metodi investigativi caratterizzati da una totale mancanza di trasparenza e che non garantiscono i più basilari diritti dei detenuti e dei fermati. Un sistema repressivo che si ritiene essere all’origine della morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso nel 2016 al Cairo. Dietro il suo omicidio si pensa infatti ci fossero proprio i servizi di sicurezza egiziani.
Proprio affinché non si ripeta un caso simile a quello di Regeni, in Italia, compatibilmente con l’emergenza coronavirus, continuano le iniziative a favore del rilascio di Zaky. La presidente della Commissione diritti umani del Senato, Stefania Pucciarelli, insieme ad alcuni membri della stessa, ha incontrato l’ambasciatore d’Italia al Cairo, Giampaolo Cantini, che – ha riferito la senatrice M5s Michela Montevecchi – «ci ha garantito l’impegno a seguire questo caso in maniera costante, così come fatto finora».
A Bologna, sulla facciata del Comune, è esposto uno striscione con la scritta «Libertà per Patrick Zaky», accanto a quello di Amnesty International per chiedere «Verità per Giulio Regeni». Un gesto simbolico fortemente voluto dal sindaco Virginio Merola per tenere alta l’attenzione sullo studente egiziano considerato dai bolognesi un concittadino.