Il presidente turco Recep Tayyip è stato costretto a rimandare la sua visita in Somalia per poter partecipare ai funerali del re saudita Abdullah. Ma «si tratta solo di un rinvio, Erdogan si recherà in Somalia dopo i funerali, ma non sappiamo ancora la data precisa», ha detto Daud Aweis, portavoce della presidenza somala. Tutto rimandato quindi, ma non annullato. E neanche l’attentato che ieri ha ucciso cinque persone in un hotel vicino alla sede della Presidenza somala ha scoraggiato il leader di Ankara (un hotel nel quale, tra l’altro, alloggiavano una settantina di uomini dei servizi di sicurezza turchi che però sono rimasti illesi). La Somalia infatti è un tassello importante della politica estera della Turchia.
Erdogan si presenta ai somali come un leader forte, a capo di una nazione con un’economia in piena espansione e in grado di sostenere la ripresa del martoriato Paese del Corno d’Africa. Il presidente turco si propone poi come un islamico in grado di meglio comprendere le esigenze dei somali, islamici come lui. E, soprattutto, si presenta come il leader di una nazione che non ha mai avuto interessi coloniali nell’area. Quest’ultima è un’immagine che ai somali piace e che ha fatto preferire i turchi sia alle potenze anglosassoni (Usa e Inghilterra) sia alla Francia, sia, ancora, alla maldestra e squattrinata Italia che da anni non è più in grado di svolgere alcun ruolo come ex potenza coloniale, nonostante gli ottimi rapporti con la classe dirigente somala.
Erdogan non è la prima volta che si recherà a Mogadiscio. Nel 2011 fu il primo dirigente politico straniero a visitare la capitale. In quell’occasione aveva annunciato l’apertura dell’ambasciata turca e un piano di aiuti umanitari e di ricostruzione. Piano che sta portando avanti con metodo e costanza. In questo modo la Turchia sta diventando il partner privilegiato della nuova Somalia. Un partner diverso, lontano dall’immagine compromessa delle vecchie potenze coloniali.