L’Unione europea investirà 200 milioni di euro in Eritrea nell’ambito dell’European devolpment fund. La notizia è stata diffusa ieri sul sito del ministero degli Esteri italiano e su quello dell’Unione europea. Secondo quanto riportato ieri sul Web, 175 milioni di euro saranno destinati al settore energetico del Paese del Corno d’Africa e, in particolare, al rifacimento della rete elettrica nazionale, la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e l’esplorazione in ambito geotermico. Un’altra ventina di milioni saranno stanziati per il supporto delle attività di gestione finanziaria a sostegno delle entità finanziarie eritree. Questo stanziamento ne segue un altro di 40 milioni di euro effettuato nel 2009 a supporto di progetti agricoli.
Ma le relazioni tra Unione europea ed Eritrea non si fermano alla cooperazione allo sviluppo. Nel 2014 è stato lanciato a Roma il cosiddetto «Khartoum Process», un accordo un piano di cooperazione tra i Paesi dell’Unione europea e il Corno d’Africa che prevede uno stanziamento di 300 milioni di euro all’Eritrea per contenere i flussi migratori.
Lo stanziamento di aiuti non è negativo in sé. Anzi potrebbe contribuire ad alleviare le sofferenze del Paese. Da anni, l’economia ristagna e il 50% degli eritrei vive sotto il livello di povertà (meno di due euro al giorno). L’Eritrea poi sconta anche economicamente i difficili rapporti con la vicina Etiopia. L’assenza di qualsiasi relazione con il vicino fa sì che vengano annichiliti sul nascere i possibili rapporti commerciali che potrebbero essere proficui per entrambi i Paesi.
Il problema delle relazioni tra Unione europea e Eritrea è che Bruxelles, trattando con Asmara, legittima un regime durissimo (che qualcuno accosta all’Albania di Enver Hoxha). Nel 2015 l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha pubblicato un durissimo rapporto di 500 pagine in cui ha denunciato non solo l’ingiustizia del servizio militare a tempo indeterminato e la negazione di qualsiasi forma di espressione (l’Eritrea è uno dei pochi Stati al mondo a non avere media privati e indipendenti), ma anche «il clima di terrore» instaurato dal regime in cui il dissenso è «sistematicamente represso, la popolazione è costretta al lavoro forzato e a carcerazioni arbitrarie, tanto da poter parlare di crimini contro l’umanità». Non è un caso che le Nazioni Unite stimano in almeno tremila i giovani che ogni mese lasciano il Paese per cercare fortuna all’estero. E la maggior parte di essi arriva proprio in Europa.