di Enrico Casale
La firma del documento che pone definitivamente fine alla guerra tra Etiopia ed Eritrea è un segno che va oltre la cronaca e sconfina nella storia. Eritrei ed etiopi si sono combattuti per decenni. Dopo la seconda guerra mondiale Asmara non aveva accettato di essere annessa da Addis Abeba. Ne sono seguiti trent’anni di guerriglia che negli anni Novanta aveva portato all’indipendenza dell’Eritrea. La speranza di un futuro di pace aveva pervaso tutti e sembrava che una nuova stagione di pace e prosperità si fosse aperta per i due Paesi.
Fino alla tragedia della nuova guerra combattuta tra il 1998 e il 2000 per una banale questione di confine. Gli scontri hanno inghiottito le vite di 70mila (ma qualcuno dice anche 80mila) giovani soldati e anche la pace raggiunta nel 2000 non sembrava essere definitiva. Per 18 anni Eritrea ed Etiopia si sono guardate in cagnesco. Asmara, temendo di essere invasa, ha trasformato il proprio Paese in una caserma con uomini e donne arruolati a tempo indeterminato. L’Etiopia mantenuto sul confine migliaia di uomini sottraendoli alla crescita economica.
Ora è arrivata la pace. Senza nulla togliere all’Eritrea, gran parte del merito va al nuovo premier etiope Abiy Ahmed. Salito al potere il 2 aprile è stato in grado in rapida successione di sbloccare due dossier scottantissimi per Addis Abeba: le tensioni con Asmara e quelle con la minoranza di etnia oromo. Abiy è giovane, intraprendente, ma non ingenuo. Sa che lo sviluppo economico è figlio della stabilità. E così prima si è rivolto al fronte interno tendendo la mano agli oromo da mesi sul piede di guerra con il governo (dominato da membri dell’etnia tigrina). Poi ha guardato al vicino eritreo.
Se riuscirà davvero a riportare la pace sui due fronti, a trarne vantaggio sarà tutta la regione. L’Etiopia potrà stipulare accordi commerciali con l’Eritrea e potrà infine sfruttare i porti di Massaua e di Assab per poter esportare e importare le merci necessarie al suo sviluppo (e non sarà più costretta a rivolgersi solo a Gibuti). Asmara godrà di una rendita di posizione che, comunque, le garantirà la possibilità di avere entrate certe dai dazi e un flusso di beni a prezzi minori per la propria popolazione (ora alla fame).
Ma la svolta sarà anche politica. Una Eritrea e un’Etiopia amiche (e magari alleate) non potranno che giocare un ruolo importantissimo nella stabilità della regione. Non ci saranno più sostegni alle reciproche opposizioni e ai reciproci nemici. Spariranno le tensioni di confine. Un simile scenario potrebbe anche portare a una minore emigrazione verso l’Europa e quindi a un calo dei morti nel deserto e nel Mediterraneo. Ora è tutto nelle mani dei politici eritrei ed etiopi. Saranno loro a dover lavorare duramente per riuscire a dare un seguito al trattato. Chi scrive segue da anni il Corno d’Africa ed è moderatamente ottimista. Sogniamo? Forse. Ma, come disse Mandela: «Un vincitore è solo un sognatore che non si è mai arreso».