Eritrea: Isayas Afeworki, trent’anni al potere

di claudia
isaias afeworki

Isayas Afeworki compie oggi trent’anni al potere. Celebrato come un eroe dell’indipendenza nel 1991 dopo aver guidato alla vittoria il Fronte popolare di liberazione eritreo (Eplf), ottenendo l’indipendenza dall’Etiopia dopo 30 anni di guerra civile, negli anni Novanta, Isayas era considerato come una sorta di Nelson Mandela del Corno d’Africa.

“Gli anni Novanta sono stati un periodo molto, molto pieno di speranza. I combattenti che avevano fatto parte dell’Eplf si stavano smobilitando. Sentivano di aver liberato il Paese e di non voler più essere combattenti e ribelli”, Michela Wrong, un’autrice e giornalista britannica che all’epoca scriveva sull’Eritrea. Anche gli eritrei che vivevano nella diaspora in tutto il mondo erano entusiasti di tornare a casa dopo essere dovuti fuggire all’estero sotto il governo di Mengistu Hailè Mariam.

Primo presidente dell’Eritrea dopo l’indipendenza, Isayas non ha però più lasciato il potere, trasformandosi in un capo di Stato autoritario. “Dopo l’indipendenza ha preso il via un dibattito per adottare una Costituzione multipartitica – continua Wrong, intervistata da Deutsche Welle -, ma la discussione non ha portato ad alcuna svolta democratica”.

Nel 1998 è scoppiata una nuova guerra tra Etiopia ed Eritrea per il piccolo villaggio di confine di Badme. “Questo è stato il fattore scatenante. È stata una disputa su un’area di terra contesa, ma alla base c’erano altre tensioni”, ha detto Wrong.

I combattimenti si sono protratti fino al 2000 ma la guerra, nei fatti, è durata fino al 2018 con una dichiarazione congiunta Eritrea-Etiopia firmata dal premier etiope, Abiy Ahmed, e lo stesso Isayas. La guerra ventennale ha causato la morte di decine di migliaia di persone e l’esodo di altrettante. Nei due decenni, anche Isaias Afwerki è diventato un leader diverso. Nel Paese sono diventate frequenti le violazioni dei diritti umani e l’autoritarismo. Isaias ha creato un sistema in cui non c’era spazio per il dissenso, penalizzando severamente anche i ministri che gli si opponevano e lo criticavano. Anche la libertà religiosa è stata ridotta: le Chiese che erano attive nel Paese sono state chiuse ed espropriate dei loro beni. Così come le università, che sono state trasformate in istituti tecnici militari. I metodi repressivi del regime hanno costretto anche molti giovani a fuggire dal Paese, spinti soprattutto dal servizio di leva obbligatorio dell’Eritrea, che impone a tutti i diplomati di arruolarsi nell’esercito per un periodo di tempo imprecisato.

Nel 2020 l’Eritrea è tornata a combattere. Le sue truppe si sono schierate a fianco di quelle etiopi contro le milizie del Fronte popolare di liberazione del Tigray. Eritrei hanno combattuto lungo il confine e stazionano ancora in quelle zone nonostante tra Addis Abeba e il Tplf sia stato firmato un accordo di pace.

Isayas intanto si sta muovendo anche sul fronte internazionale. Sempre più stretti sono i rapporti con la Cina, ma anche con la Russia (Asmara ha votato contro le risoluzioni Onu che condannavano Mosca per la guerra in Ucraina).

Dopo trent’anni al potere, non si parla di piani di successione per Isayas. Nonostante abbia 77 anni, è ancora saldo al potere e controlla tutte le leve del comando, anche se il consenso nei suoi confronti è sempre più risicato. 

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