Nessuno poteva giurare che l’Eritrea prendesse con favore l’apertura di Addis Abeba sulla questione di Badme, la cittadina contesa sull’altopiano tra Eritrea ed Etiopia che aveva scatenato la guerra scoppiata nel 1998 e terminata nel 2000 ma senza un accordo di pace. Invece ora da Asmara arriva la notizia che Isaias Afworki invierà una delegazione ad Addis Abeba per negoziare la pace dopo che il governo etiopico ha fatto sapere di ritenere Badme eritrea.
La decisione è clamorosa e adesso apre veramente alla pace tra i due paesi. Non si tratta solo di una composizione tra Eritrea ed Etiopia ma di una vicenda che avrà ripercussioni in tutta la regione del Corno d’Africa. Da tempo infatti Eritrea e Etiopia stanno anche combattendo una guerra occulta in Somalia, paese nel quale Asmara è stata accusata di sostenere i ribelli jihadisti di al Shabaab che continuano ad attaccare le forze di pace africane di cui fa parte l’Etiopia.
Per l’Etiopia la decisione di cercare la pace con l’Eritrea fa parte di una svolta profonda anche nella politica interna. Il comitato esecutivo del partito al potere in una coalizione nella quale rappresenta la grande maggioranza ha anche annunciato la liberalizzazione dei settori delle telecomunicazioni, dell’energia e del trasporto aereo, aprendoli a investimenti privati e interni, con l’obiettivo di allentare la presa dello stato sull’economia, una delle più chiuse e controllate del continente africano ma anche una delle più dinamiche e in crescita.
Si tratta di riforme promesse dal nuovo premier Abiy Ahmed subentrato al dimissionario Hailemariam Dessalegn che, pur appartenendo ad una minoranza etnica, rappresentava gli interessi dell’etnia tigrina al potere dalla cacciate, nei primi anni novanta, del dittatore Menghistu. In questa svolta la potenziale guerra mai conclusa con l’Eritrea era un impiccio.
Discorso diverso per l’Eritrea. Questo paese si è progressivamente chiuso anche grazie al pretesto della guerra con il grande vicino etiopico. Ora che questo spettro potrebbe non esserci più Isaias Afworki si trova a dover riposizionarsi, sia sul piano esterno che su quello interno. Sulla carta vengono meno i motivi per non applicare la costituzione, per evitare elezioni e per mantenere decine di migliaia di giovani nelle caserme.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)