I primi colloqui di pace formali tra i rappresentanti del governo etiope e quelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray per riportare la pace nelle regioni settentrionali dell’Etiopia proseguono, sotto la mediazione, dell’Unione Africana, a Pretoria, in Sudafrica.
L’inviato dell’Ua del Corno d’Africa ed ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo (nella foto) è il principale mediatore dei colloqui. È affiancato dall’ex presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, dall’ex vicepresidente sudafricano, Phumzile Mlambo-Ngcuka, e dall’inviato statunitense, Mike Hammer.
I colloqui si sono aperti lunedì e dovrebbero durare fino a domenica, secondo quanto annunciato dalla presidenza sudafricana. Ma finora c’è stato un blackout mediatico. I giornalisti sono stati tenuti fuori dall’edificio nel quale si svolgono gli incontri.
Il dialogo tra i negoziatori del governo etiope del primo ministro Abiy Ahmed e le autorità regionali nel Tigray colpito dalla guerra è arrivato a quasi due mesi dalla ripresa dei combattimenti, infrangendo una tregua di cinque mesi. I negoziati seguono un’ondata di aspri combattimenti nelle ultime settimane che hanno portato alla conquista da parte delle truppe dell’esercito federale, sostenute da reparti eritrei, di alcune importanti città del Tigray. La virulenza di questi scontri ha allarmato la comunità internazionale e suscitato timori per i civili coinvolti nel fuoco incrociato.
La comunità internazionale ha chiesto un cessate il fuoco immediato, l’accesso umanitario al Tigray, dove molti affrontano la fame, e il ritiro delle forze eritree, il cui ritorno al conflitto ha sollevato timori di rinnovate atrocità contro i civili.
“Non esiste una soluzione militare a questo conflitto e questi colloqui rappresentano il modo più promettente per raggiungere una pace e una prosperità durature per tutti gli etiopi”, ha affermato il segretario di Stato americano, Antony Blinken, in una dichiarazione durante la notte accogliendo i negoziati.
Il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, ha accolto con favore l’avvio dell’atteso processo. Ha affermato di essere stato “incoraggiato dalla prima dimostrazione di impegno per la pace da parte delle parti” e ha ribadito il continuo sostegno della sua organizzazione a favore di un processo “per mettere a tacere le armi verso un’Etiopia unita, stabile, pacifica e resiliente”.
Il conflitto nasce da un contrasto tra il Fronte popolare di liberazione del Tigray, un movimento che ha dominato la vita politica etiope per più di vent’anni, e il premier Abiy Ahmed. L’arrivo al potere del primo ministro ha infatti coinciso con una progressiva emarginazione del Tplf dai centri di potere e a un suo progressivo ritirarsi nella sua roccaforte settentrionale. Da qui sono nate frizioni sempre più forti con il governo che ha accusato il Tplf di cercare di ripristinare il suo dominio nazionale, mentre il Tplf ha ha accusato il governo di opprimere i tigrini e di centralizzare eccessivamente il potere.
La delegazione del Tigray ha affermato che l’obiettivo dei colloqui in Sudafrica sarà l’immediata cessazione delle ostilità, l’accesso illimitato al Tigray per gli aiuti umanitari e il ritiro delle forze eritree. Il governo ha affermato di considerare i colloqui come un’opportunità per risolvere il conflitto e “consolidare il miglioramento della situazione sul campo”.
La guerra ha aggravato altri gravi problemi in Etiopia, tra cui una siccità – la peggiore degli ultimi quattro decenni – che ha causato una crisi alimentare e ha danneggiato l’economia.