Il 21 giugno urne aperte in Etiopia. Le elezioni, originariamente previste per agosto 2020, sono state ritardate a causa della pandemia di covid-19. Gli elettori saranno chiamati a scegliere i 547 membri del parlamento federale e il leader del partito vincitore diventerà primo ministro. Le ultime elezioni generali si sono svolte nel 2015.
Questo è il primo test elettorale per il primo ministro Abiy Ahmed da quando nel 2018 si è insediato sulla scia delle proteste contro il governo di coalizione dominato dal Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf). In questi tre anni Abiy ha duramente represso la corruzione, rilasciato prigionieri politici, nominato più donne nel governo e ha siglato un’intesa di pace con la vicina Eritrea (con la quale esisteva una situazione di pace armata dal 2000 quando era terminata il conflitto tra i due Paesi).
La sua azione gli è valsa il Premio Nobel per la pace 2019. Solo un anno dopo però ha lanciato un’operazione militare nel Tigray per reprimere il Tplf che aveva sfidato il potere centrale organizzando proprie elezioni regionali e le cui milizie avevano conquistato basi militari federali. Il conflitto, durato un mese, ha causato la morte di migliaia di persone, violenze diffuse e una carenza di cibo (che in alcune aree si è trasformata in vera carestia). Ai combattimenti hanno partecipato anche truppe eritree, milizie di etnia amhara e, probabilmente, anche reparti somali. Abiy, che ha annunciato la fine dei combattimenti a dicembre, deve però ora far fronte a una guerriglia diffusa che sta logorando le sue truppe.
Dal punto di vista politico, il premier ha sciolto il Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope (Eprdf), un’alleanza composta da quattro partiti a base etnica e dominata dal Tplf e ha creato il Partito della Prosperità. Il premier sostiene che questo partito unico aiuterà a forgiare l’unità nazionale e a ridurre le divisioni etniche. I suoi critici però sostengono che cercare di ignorare le differenze etniche genererà solo risentimento, con la rimozione del potere dalla popolazione locale e la concentrazione nella capitale, Addis Abeba.
Al voto parteciperanno almeno 40 partiti, la maggior parte di essi formazioni regionali, con più di 9.000 candidati. Tuttavia, i partiti di opposizione si sono lamentati dell’eccessivo controllo sulla campagna elettorale da parte delle autorità. L’Oromo Liberation Front (Olf) a marzo ha dichiarato che boicotterà il voto, citando l’incarcerazione di alcuni dei suoi leader e la presunta chiusura dei suoi uffici da parte del governo. Anche l’Oromo Federalist Congress (Ofc), il partito di Jawar Mohammed, ha annunciato a marzo di essere “costretto” a ritirarsi dalle elezioni per motivi simili. Il Tplf, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, non potrà partecipare alle elezioni. Alcuni dei suoi leader sono stati arrestati, mentre altri sono in fuga o continuano a condurre una guerriglia nel Tigray.
Berhanu Nega, che guida il partito Ethiopian Citizens for Social Justice, è l’unico leader dell’opposizione di profilo nazionale a partecipare alle elezioni. Il 62enne politico e accademico è stato eletto nel 2005 sindaco della capitale, Addis Abeba, ma la sua vittoria è stata annullata dal governo allora dominato dal Tplf. Dopo essere stato arrestato, poi libertato, si è recato all’estero. Dopo undici anni di esilio, Berhanu Nega ha ricevuto una grande accoglienza quando è tornato a casa nel settembre 2018.
Il 21 giugno non si voterà ovunque. I seggi rimarranno chiusi in Tigray, dove i combattimenti continuano nonostante Abiy abbia dichiarato vittoria nel novembre 2020. Anche in altre 54 circoscrizioni del Paese le votazioni sono state rinviate al 6 settembre, con la commissione elettorale che cita difetti nelle schede elettorali. Anche se, probabilmente, Addis Abeba teme che le violenze etniche possano minare il processo elettorale. In totale, 78 dei 547 collegi elettorali non voteranno, riporta l’agenzia di stampa Reuters.