Le forze governative eritree e le milizie del Tigray potrebbero aver perpetrato omicidi, stupri e altri gravi abusi contro le donne eritree rifugiate nella regione del Tigray, in Etiopia. Lo sostiene Human Rights Watch in un rapporto pubblicato oggi. Secondo gli analisti di Human Rights Watch, “i belligeranti dovrebbero smettere di attaccare i campi, stare lontani dai profughi e facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari”.
Tra novembre 2020 e gennaio 2021, i reparti eritrei e tigrini in conflitto tra loro hanno alternativamente occupato i campi di Hitsats a gennaio 2021, che ospitavano di rifugiati eritrei, e vi avrebbero commesso numerosi abusi. Le forze eritree avrebbero preso di mira anche i tigrini che vivono nelle comunità vicino ai campi. I combattimenti scoppiati a metà luglio a Mai Aini e Adi Harush, gli altri due campi profughi ancora operativi, avrebbero lasciato ancora una volta i rifugiati in stato di bisogno di protezione e assistenza.
“I rifugiati eritrei sono stati attaccati sia dalle forze da cui sono fuggiti in patria sia dai combattenti del Tigray”, ha affermato Laetitia Bader, direttrice per il Corno d’Africa di Human Rights Watch. Secondo la ricercatrice, “questi rivoltanti massacri, stupri e saccheggi contro i rifugiati eritrei nel Tigray costituiscono chiaramente crimini di guerra”.
Da gennaio, Human Rights Watch ha intervistato 28 rifugiati eritrei (23 ex residenti del campo di Hitsats e cinque ex residenti del campo di Shimelba) e due residenti della città di Hitsats che hanno assistito agli abusi da parte delle forze eritree e delle milizie tigrine. Human Rights Watch ha anche intervistato gli operatori umanitari e analizzato le immagini satellitari.
Human Rights Watch ha inviato lettere che riassumevano i risultati della ricerca e chiedendo chiarimenti all’Agenzia etiope per i rifugiati e ai rimpatriati (Arra), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), la Missione permanente dell’Eritrea presso le Nazioni Unite e ad altri organizzazioni a Ginevra. Il 19 novembre, le forze eritree sarebbero entrate nella città di Hitsats e avrebbero ucciso indiscriminatamente diversi residenti. Avrebbero occupato e saccheggiato la città e presero il controllo del campo profughi. Alcuni rifugiati avrebbero preso parte al saccheggio.
Il 23 novembre, le milizie del Tigray sarebbero entrate nel campo di Hitsats e avrebbero attaccato i rifugiati vicino alla chiesa ortodossa del campo. Per diverse ore sarebbero seguiti scontri tra miliziani e soldati eritrei dentro e intorno al campo. Nove profughi sarebbero stati uccisi e 17 feriti gravemente. Una rifugiata ha raccontato che i miliziani tigrini avrebbero ucciso suo marito mentre la sua famiglia cercava di trovare rifugio all’interno della chiesa: “Mio marito aveva il nostro bambino di 4 anni sulla schiena e il bambino di 6 anni tra le braccia. Quando è tornato per aiutarmi ad entrare in chiesa, gli hanno sparato”. Secondo quanto riferito, più di 20 residenti della città di Hitsats sarebbero stati uccisi quel giorno, durante e dopo gli scontri. La milizia del Tigray si sarebbe ritirata da Hitsats dopo i combattimenti.
Le forze eritree avrebbero poi detenuto circa 20 rifugiati nel campo e li avrebbero portati via in veicoli militari. Nulla è stato rivelato del loro destino. Le forze eritree avrebbero anche preso i 17 rifugiati feriti dal campo, portando almeno uno di loro in Eritrea – ma forse anche altri – apparentemente per il trattamento. Le forze eritree avrebbero lasciato il campo all’inizio di dicembre. Le forze tigrine sarebbero tornate la sera del 5 dicembre, sparando al campo e provocando la fuga di centinaia di profughi. Nei giorni seguenti, miliziani del Tigray avrebbero attaccato, arrestato arbitrariamente e aggredito sessualmente alcuni rifugiati fuggiti, in particolare nei dintorni di Zelazle e Ziban Gedena, a nord di Hitsats. Quindi avrebbero costretto i rifugiati a tornare a Hitsats. “Sono una doppia vittima – ha detto una donna di 27 anni che è stata violentata dai miliziani del Tigray, insieme a sua sorella di 17 anni, mentre fuggivano da Hitsats -. Prima in Eritrea, poi qui in Etiopia, non sono mai stata protetta”.
A Hitsats, milizie e forze speciali del Tigray, nonché membri di un gruppo armato eritreo non identificato, avrebbero arrestato arbitrariamente centinaia di rifugiati, apparentemente nel tentativo di identificare i rifugiati che avevano collaborato con le forze eritree o che erano responsabili del saccheggio della città. Il 4 gennaio, in seguito a pesanti scontri vicino al campo, le forze del Tigray si sarebbero ritirate da Hitsats. Le forze eritree sarebbero quindi tornate e avrebbero ordinato a tutti i rifugiati rimasti di marciare lungo la strada verso l’Eritrea. Tra il 5 e l’8 gennaio, le forze eritree avrebbero distrutto e dato fuoco ai rifugi e alle infrastrutture umanitarie nel campo, lasciando parti significative del campo in rovina.
La maggior parte dei profughi avrebbe poi dovuto affrontare una marcia difficile, durata giorni, verso la cittadina etiope di Sheraro e poi verso Badme. I rifugiati avrebbero affermato che una volta lì, molti sentivano di non avere altra scelta che tornare in Eritrea, nonostante il rischio di essere incarcerati e di subire la coscrizione forzata. Testimoni hanno detto che a gennaio centinaia di persone sono salite a bordo di autobus diretti verso l’Eritrea.
Altri rifugiati sono riusciti a fuggire di nuovo in Etiopia, alcuni nelle aree urbane o nei due campi profughi eritrei ancora attivi nel Tigray meridionale: Mai Aini e Aid Harush. L’Unhcr ha riferito che, alla fine di agosto 2021, non c’erano ancora notizie di 7.643 dei 20.000 rifugiati che risiedevano nei campi di Hitsats e Shimelba nell’ottobre 2020. Molti rifugiati sono fuggiti ad Addis Abeba, la capitale etiope, ma né il governo etiope né i partner internazionali hanno fornito loro assistenza fino ad oggi. I rifugiati che non ricevono assistenza sono più vulnerabili a futuri abusi, compreso lo sfruttamento, ha affermato Human Rights Watch. “Per anni, il Tigray è stato un rifugio per i rifugiati eritrei in fuga dagli abusi, ma molti ora di non essere più al sicuro lì – ha concluso Laetitia Bader -. Dopo mesi di paura, abusi e abbandono, l’Etiopia, dai suoi partner internazionali, dovrebbe garantire a tutti i rifugiati eritrei un accesso immediato a protezione e assistenza”.