Buckingham Palace ha rifiutato la richiesta di restituire i resti del principe etiope Alemayehu, arrivato orfano nel Regno Unito a 7 anni e morto a soli 18, sepolto al castello di Windsor durante il regno della regina Vittoria.
In una dichiarazione ufficiale dei reali inglesi inviata alla Bbc, un portavoce reale spiega che la rimozione dei resti di Alemayehu potrebbe “disturbare il riposo” di altre personalità sepolte nella cappella di S. Giorgio, nel castello di Windsor. La necessità manifestata da Buckingham palace è quella di “preservare la dignità dei defunti” nella cappella, ragion per cui in passato i reali inglesi avevano acconsentito ai discendenti del principe Alemayehu di visitare la cappella.
Uno dei suoi discendenti etiopi, Fasil Minas, ha spiegato alla Bbc che “vogliamo, come famiglia e come etiopi, che i suoi resti tornino a casa. Quello non è il Paese in cui è nato”. Già nel 2007, l’allora presidente dell’Etiopia Girma Wolde-Giorgis aveva scritto alla regina Elisabetta II chiedendo la restituzione del corpo, non ottenendola.
La storia di Alemayehu, rimasto a Londra per circa un decennio, è una classica storia di colonialismo ottocentesco: nel 1862, nel tentativo di rafforzare il suo impero, il padre del principe, l’imperatore d’Etiopia Tewodros II, cercò un’alleanza con il Regno unito e la regina Vittoria, ma le lettere che sostenevano il suo caso non ricevettero risposta da Londra. Irritato, l’imperatore prese in ostaggio alcuni cittadini europei, tra i quali vi era anche il console britannico: la reazione della regina britannica fu di inviare 13.000 soldati, britannici e indiani, che nel 1868 assediarono Maqdala, la fortezza montana dell’imperatore etiope, nel nord del Paese, travolgendo i soldati dell’imperatore in poche ore. L’imperatore Tewodros II, piuttosto che soccombere al nemico, si tolse la vita diventando un eroe, riconosciuto ancora oggi come tale in Etiopia.
Il saccheggio che seguì la battaglia, con manoscritti, gioielli, abiti trafugati dagli inglesi, è ancora oggi oggetto di disputa tra Addis Abeba e diversi governi europei, che non vogliono restituire i beni rubati allora, per il trasporto dei quali furono necessarie decine di elefanti e centinaia di muli. Le giubbe rosse fecero anche numerosi prigionieri tra gli etiopi, tra cui Alemayehu e sua madre, l’imperatrice Tiruwork Wube. Durante il viaggio verso le isole britanniche Wube morì, lasciando orfano il principino etiope il quale, arrivato in Gran Bretagna nel giugno del 1868, incontrò la regina Vittoria in persona sull’Isola di Wight. La regina accettò di sostenerlo finanziariamente e nominò suo tutore il capitano Tristam Charles Sawyer Speedy, che lo aveva accompagnato nel lungo viaggio da Maqdala all’isola britannica. Ad Alemayehu fu garantita un’istruzione formale, potè visitare molti Paesi dell’Impero britannico, India compresa, frequentò la scuola pubblica prima a Rugby e poi al Royal military college di Sandhurst, dove subì bullismo e dove, dopo di lui, si formarono personalità come Winston Churchill, Ahmad Massoud (figlio del Leone del Panshir) e i principi William ed Harry.
Esistono diverse lettere di Alemayehu che raccontano una personalità malinconica, soffocata dal desiderio di tornare nella sua Etiopia. La sua formazione si concluse privatamente, a Leeds, dove si ammalò di polmonite e, nel 1879, rifiutò le cure fino a morirne, a soli 18 anni. Nel suo diario, la regina Vittoria racconta la sua “tristezza” nell’apprendere la notizia della morte del giovane: “Sono molto addolorata e scioccata nell’apprendere per telegramma che il buon Alemayehu è morto questa mattina” ha scritto la regina, continuando: “Tutto solo, in uno strano Paese, senza una sola persona o parente che gli appartenesse. La sua non è stata una vita felice”. Fu forse il senso di colpa della regina a farle decidere di organizzare funerale e sepoltura a Windsor.