La tensione sale in Etiopia. Il Governo di Addis Abeba ha dichiarato ieri, 9 ottobre, lo stato di emergenza. Le autorità hanno giustificato il provvedimento, che sarà valido per i prossimi sei mesi, con la necessità di riportare sotto controllo la situazione dell’ordine pubblico, scossa dagli scontri violenti che hanno provocato morti e danni in tutto il Paese, in particolare nella regione di Oromia.
«Il Consiglio dei ministri – hanno annunciato esponenti dell’esecutivo – ha dichiarato lo stato di emergenza in modo da poter affrontare gli elementi alleati alle forze straniere che mettono in pericolo la pace e la sicurezza nel Paese».
Da un anno, gli oromo, che con 24 milioni di persone sono l’etnia maggioritaria del Paese, sta dimostrando una crescente insoddisfazione nei confronti dell’esecutivo. Continue manifestazioni si tengono nella regione meridionale di Oromia. Il 2 ottobre decine di persone sono rimaste uccise durante una fuga di massa dopo che la polizia ha sparato ad un raduno religioso a cui partecipavano circa due milioni di persone, scatenando il panico.
L’insofferenza è legata a una crescita economica che esclude larga parte del Paese. Se le grandi città, la capitale Addis Abeba in particolare, si stanno trasformando in metropoli moderne, con servizi di buon livello, le campagne rimangono sprofondate nel sottosviluppo. E anche le grandi opere in costruzione (in particolare i grandi sistemi idraulici della Diga del Millennio e quelli del complesso Gilgel Gibe) non sembrano avere ricadute sull’Etiopia più profonda.
A ciò va aggiunto che il sistema politico etiope è bloccato. La caduta del regime di Menghistu Hailè Mariam agli inizi degli anni Novanta ha portato al potere l’etnia tigrina, che è minoritaria nel Paese. I tigrini, che provengono dal Nord, hanno progressivamente occupato tutti gli spazi dell’amministrazione pubblica, emarginando i membri delle altre etnie.
Questa miscela ha determinato una crescente insoddisfazione che sta assumendo sempre più i contorni di una protesta violenta, alla quale il regime risponde con metodi altrettanto violenti. Lo stato di emergenza potrebbe acuire ulteriormente la repressione e, con essa, le tensioni. Saranno le prossime settimane a dirci quale direzione assumerà lo scontro in atto.