“Dopo che alla fine del 2021 le forze tigrine avevano incassato una serie di vittorie e sembravano essere addirittura in procinto di lanciare un’offensiva ulteriormente verso sud, nel corso del mese di dicembre e di gennaio gli equilibri militari si sono rovesciati e il governo federale, grazie alla mobilitazione generale della popolazione nella regione Amara e alla superiorità aerea di cui gode è riuscito a riportare il fronte lungo il confine tra gli stati regionali dell’Amara e del Tigray”.
A fare il quadro su quanto sta avvenendo nella regione etiope del Tigray dove, dal 3 novembre 2020 è in corso un conflitto che vede contrapposti il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplf) e il governo federale etiope con a capo il primo ministro Abiy Ahmed, è Luca Puddu, ricercatore della Scuola Superiore meridionale ed esperto di Corno d’Africa, intervistato da Africa Rivista.
di Valentina Milani
“Al momento attuale l’equilibrio militare sembra essersi cristallizzato e sembra resistere una tregua apparente per lo meno dal punto di vista delle operazioni terrestri”, ha detto Puddu precisando che le forze tigrine ora controllano il Tigray centro orientale mentre il dispositivo militare federale e le milizie alleate hanno riconquistato tutte quelle posizioni perse nel corso del 2021 negli Stati regionali di Amara e Afar.
Una situazione che sembrerebbe poter aprire la via ad una nuova fase negoziale tra le parti in lotta secondo lo studioso. “Una suggestione questa rafforzata dalla decisione recente del primo ministro Ahmed, pochi giorni fa, di rilasciare una serie di prigionieri politici riconducibili alla dirigenza del Tplf”, ha detto.
Circa le ripercussioni dell’instabilità etiope in tutta la regione del Corno d’Africa, Luca Puddu ricorda come l’Etiopia sia stata per lungo tempo il perno del sistema di sicurezza regionale nel Corno. Pertanto “la crisi in corso ha avuto ed è suscettibile di continuare ad avere tutta una serie di conseguenze nelle varie periferie”. Lo studioso ricorda come, ad esempio, in Somalia il processo elettorale abbia conosciuto tutta una serie di fasi di arresto indirettamente legate anche a quelle che sono state le vicissitudini politiche e militari in Etiopia. Lo stesso vale per Gibuti che nel corso degli ultimi mesi è stata attraversata da tensioni tra le due minoranze che popolano il Paese.
“La tregua terrestre che al momento sembra reggere sembra essere suscettibile di poter portare a dei negoziati che però – precisa lo studioso – non sono garanzia di una rinnovata stabilità per la regione del Corno d’Africa”. Rimane infatti da capire quale possa essere il futuro status del Tigray secondo Puddu che ricorda che le possibili discussioni su un’eventuale secessione del Tigray naturalmente influenzeranno anche tutta una serie di dinamiche politiche nei Paesi vicini. “Una rivisitazione dello status internazionale del Tigray inevitabilmente avrebbe, per esempio, profonde ripercussioni sulla disputa tra il Somaliland e il governo federale somalo a Mogadiscio, così come anche sulla integrità territoriale degli Stati vicini la stessa Eritrea che naturalmente guarda con grande preoccupazione al rischio di una frammentazione dell’Etiopia consapevole che l’onda lunga di un eventuale secessionismo su base etnica potrebbe investire la stessa Eritrea”.
In relazione a eventuali interessi internazionali celati nella crisi etiope, Puddu precisa ad Africa Rivista come sia difficile “tracciare una linea di divisione chiara tra sostenitori dell’una e dell’altra parte”. In linea generale, a livello regionale, secondo lo studioso “si è andata a creare una sorta di dicotomia che vede da un lato l’Egitto e il governo militare sudanese che hanno sostenuto più o meno direttamente i ribelli tigrini nel corso del 2021”. Dall’altro lato Addis Abeba sostenuta a sua volta da alcune potenze regionali: “in particolar modo la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti i quali, secondo alcuni osservatori, avrebbero organizzato un vero e proprio ponte aereo per rifornire di tecnologie militari il governo federale”. La capacità e la possibilità di ottenere accesso ai droni turchi ed emiratini, e secondo alcuni addirittura delle tecnologie aeree iraniane, “sarebbe stato alla base del repentino rovesciamento di fronte che ha portato per l’appunto il governo federale nel mese di novembre”, riassume Puddu.
Da un punto di vista internazionale è chiaro, secondo lo studioso, “che la posizione tradizionalmente perseguita dalla Cina di non interferenza negli affari interni di Paesi terzi è percepita come una posizione favorevole al governo federale etiopico, governo federale che invece nel corso del 2021 ha conosciuto una fase di grande tensione nei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti, con l’Unione europea e con alcuni Paesi europei particolarmente vocali nel sostenere la necessità di una apertura umanitaria al Tigray e di una soluzione politica al conflitto.
Inoltre, Puddu afferma che il rilascio dei prigionieri politici del Tigray può essere in questa ottica visto come un’apertura alla Casa Bianca così come la notizia divulgata dall’ufficio del primo ministro, pochi giorni fa, circa una telefonata tra Ahmed e Biden che secondo il governo etiopico sarebbe stata “franca e cordiale”. “Un cambio di registro netto – sottolinea il ricercatore – rispetto al linguaggio utilizzato dal governo etiopico fino a poche settimane fa, quando gli Stati Uniti e l’Unione Europea venivano implicitamente accusati di indebite ingerenze negli affari interni dell’Etiopia in virtù delle loro richieste di soluzione politica del conflitto e di apertura del corridoio umanitario verso il Tigray”.