In Etiopia, la vecchia e repressiva legge contro il terrorismo è andata finalmente in pensione. Il Parlamento di Addis Abeba ha approvato un nuovo testo che, accogliendo una serie di suggerimenti delle organizzazioni che difendono i diritti umani, introduce nuove tutele per i cittadini fermati e nuove garanzie per le libertà di espressione e di stampa.
Il vecchio testo, approvato una decina di anni fa, era duramente criticato per i suoi aspetti di dura repressione non solo dei fenomeni terroristici, ma anche di qualsiasi forma di espressione e di opposizione. I difensori dei diritti umani accusavano il vecchio potere, che faceva leva sulla minoranza tigirna, di usarlo come strumento di repressione. Le vecchie norme consideravano terroristica qualsiasi assemblea o assembramento che disturbasse i servizi pubblici.
Nella legge del 2009 venivano infatti puniti tutti gli atti che «incoraggiavano il terrorismo» o rappresentavano «un’intimidazione a commettere un atto terroristico». Espressioni assai vaghe che lasciavano spazio alla discrezione delle autorità. E infatti il vecchio regime aveva usato queste norme per bandire i partiti politici, reprimere i sindacati o per arrestare giornalisti e oppositori.
La nuova legge è molto più puntuale e garantista. Diverse le novità. Introduce, per esempio, il termine più specifico di «incitamento al terrorismo». Ma non solo. Le inchieste senza un ordine ufficiale da parte del capo della polizia diventano illegali; è previsto un programma di protezione dei testimoni; i sospetti devono essere portati davanti a un giudice entro 48 ore dall’arresto. Le vittime di abusi della polizia potranno ricevere un risarcimento fino a 1500 dollari.
Si tratta di un progresso notevole, anche se non mancano le critiche. Alcuni attivisti sostengono che il nuovo testo promuove la causa dei diritti umani, ma non protegge completamente dagli abusi. Alcuni oppositori temono anche che i funzionari abituati al vecchio regime utilizzeranno ancora questo testo per attaccare gli oppositori politici.