La guerra scoppiata nel Tigray lo scorso novembre avrebbe dovuto concludersi nell’arco di poche settimane, ma a distanza di cinque mesi sembra aver fatto deflagrare le tensioni interne all’Etiopia, che hanno indebolito il premier Abiy Ahmed, oggi chiamato ad affrontare più crisi e sfide politiche nello stesso tempo, che limitano la sua possibilità di rispondere alle crescenti pressioni di Stati Uniti e Unione europea perché si arrivi a un cessate il fuoco.
Sebbene il governo di Addis Abeba abbia dichiarato conclusa la guerra lo scorso novembre, con la conquista di Macallè, da allora è in corso un conflitto a bassa intensità, con le truppe federali che controllano le zone urbane e le principali vie di comunicazioni, le forze dell’ex partito del governo regionale, Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf), attive nelle zone rurali del centro e del sud della regione, le truppe eritree a nord e le forze Amhara all’estremo Sud e nella zona occidentale.
L’ex presidente del Tigray e leader del Tplf, Debretsion Gebremichael, ha riferito ad Africa Report di operazioni in corso per contrastare nuove offensive che saranno lanciate presto, escludendo che si possa arrivare presto a una soluzione del conflitto. Secondo la stessa testata, sarebbero numerosi i volontari che si stanno unendo al Tplf per contrastare “gli invasori”, in particolare le truppe eritree che secondo Debretsion non si sarebbero affatto ritirate, come invece annunciato dal premier etiope Abiy Ahmed dopo una visita ad Asmara. Per il leader del Tplf l’annuncio è stato solo uno stratagemma per rispondere alle richieste internazionali.
Lo stesso ministero dell’Informazione eritreo, nel comunicato stampa diffuso al termine della visita di Abiy, non ha menzionato il ritiro, denunciando invece “violenti attacchi militari” e “campagne di disinformazione” contro l’Eritrea e sottolineando la necessità di “rafforzare gli impegni congiunti delle due parti nel periodo a venire”. Nella sua dichiarazione Abiy ha annunciato il ritiro degli eritrei “non appena l’esercito etiope potrà riprendere il controllo delle postazioni lungo il confine”. Ma proprio nel Tigray le forze armate etiopi hanno subito gravi perdite e il sostegno di Asmara si è rivelato essenziale contro il Tplf, anche a fronte del concomitante impegno delle forze federali nella regione Oromia, per contrastare una crescente insurrezione, lungo il confine con il Sudan, per il timore di un’escalation nella zona contesa di al-Fashaga.
Nel Tigray è stato fondamentale anche l’intervento delle forze Amhara, che però hanno poi preso possesso della zona da sempre contesa alle autorità del Tigray, con il tacito assenso del premier che non può contrastare tale iniziativa, senza rischiare di perdere il sostegno politico degli Amhara, forti sostenitori del suo progetto di riformare il sistema federale garantendo unità al Paese. Un progetto che ha portato, alla fine del 2019, alla creazione del Partito della prosperità, per superare le divisioni etniche alimentate in passato dalla coalizione del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo guidata dal Tplf, che ha governato il Paese dall’inizio degli anni ’90.
Tensioni etniche e territoriali che si riaccendono e che rischiano ora di portare a uno scontro con il vicino Sudan, che rivendica come propria la zona di Al-Fashaqa abitata da comunità Amhara. Diversi gli scontri riportati negli ultimi mesi, con forte dispiegamento di forze da parte dei due paesi, che fa temere uno scontro che, a sua volta, potrebbe spingere Khartoum a offrire sostegno al Tplf nel Tigray.
In tale contesto si inserisce anche la controversia di Addis Abeba con Egitto e Sudan per la costruzione della diga Gerd, con gli ultimi negoziati che si sono conclusi con un nulla di fatto e che hanno spinto il presidente egiziano Abdel-Fattah al Sisi a dichiarare che “tutte le opzioni sono possibili”.
La primavera è tradizionalmente la stagione della guerra in Etiopia. Tutti gli attriti devono essere risolti e le posizioni conquistate prima che arrivi la stagione delle piogge, in giugno, che ostacola movimenti di truppe e rifornimenti. I prossimi due mesi saranno quindi cruciali per capire i movimenti delle parti in conflitto per guadagnare terreno, prima che le piogge congelino per tre mesi le posizioni militari. Aspettando al contempo le elezioni fissate proprio a giugno.
(Simona Salvi)