Esattamente un anno fa, il 2 novembre 2022, in Sudafrica l’esercito federale etiope e i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) siglavano un accordo di cessate il fuoco per mettere fine a due anni di guerra civile accordo che avrebbe dovuto portare “rapidamente” alla pace. Dopo un anno, la situazione resta ancora molto tesa.
Uno dei tempi più caldi di quest’anno di pace nel Tigray riguarda i rifugiati: oltre un milione di persone hanno dovuto fuggire dai combattimenti e abbandonare le proprie case e molti di loro non hanno mai fatto ritorno. Secondo le Nazioni unite sono 1,5 milioni gli etiopi del Tigray in emergenza umanitaria. Chi vive nei campi profughi oggi è privo di ogni tipo di reddito e dipende completamente dagli aiuti umanitari. Inoltre, per effetto del conflitto, gli ospedali della regione sono stati quasi tutti distrutti.
Altro tema ancora sospeso riguarda la giustizia: il mancato rinnovo del mandato della Commissione internazionale di esperti sui diritti umani in Etiopia fa temere il rischio di una totale impunità per i crimini commessi nei due anni di guerra civile. Esecuzioni arbitrarie, stupri, torture, crimini che il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha definito “pulizia etnica” contro le popolazioni del Tigray.
Il terzo tema è la tensione, mai sopita: in particolare oggi preoccupa la vivacità bellica delle milizie Amhara nelle regioni di Oromia e Amhara. Dopo aver sostenuto l’esercito etiope nella guerra civile contro i ribelli del Tplf le milizie sono rimaste attive, soprattutto nel Tigray, rifiutando la smobilitazione e continuando a commettere abusi contro i civili.