Bisognerà aspettare almeno dieci giorni per avere i risultati definitivi delle elezioni legislative e amministrative che si sono svolte ieri in Etiopia. L’affluenza alle urne è stata massiccia. Lunghe code si sono viste di fronte ai seggi. Seggi che, in molti casi, sono stati tenuti aperti ben oltre l’orario previsto per permettere a tutti di esprimere il voto.
Il Partito della prosperità, formazione del premier Abiy Ahmed. La sua vittoria è scontata. Secondo Abiy, queste sono state le prime elezioni veramente libere dopo decenni di dittatura. In realtà, si è trattato di un voto incompleto: in oltre 100 delle 547 circoscrizioni del Paese, i seggi non sono stati neppure aperti, a causa di problemi di sicurezza o difficoltà organizzative. È il caso, ad esempio, del Tigray, regione devastata da una sanguinosa guerra civile che ha costretto migliaia di persone a fuggire all’estero e ha causato una forte carestia. Nel Tigray (che esprime 38 parlamentari) e nelle altre zone in cui non si è potuto votare, le elezioni dovrebbero tenersi il 6 settembre.
Secondo gli osservatori internazionali presenti in Etiopia, l’atteggiamento sempre più autoritario di Abiy Ahmed allunga ombre e sospetti su queste elezioni. Berhanu Nega, leader di uno dei principali partiti di opposizione, l’Ethiopian Citizens for Social Justice (Ezema), denuncia tentativi di brogli e la cacciata dei suoi fedelissimi dai seggi elettorali.
In alcune regioni si sono verificati boicottaggi. Nell’Oromia, la regione più popolosa del Paese (nonché terra natale di Abiy Ahmed), che esprime 178 dei 547 seggi parlamentari, il Partito della Prosperità corre da solo, senza rivali, perché i due principali partiti di opposizione si sono ritirati denunciando intimidazioni da parte delle autorità e l’arresto di alcuni avversari politici locali del premier.