I partiti d’ispirazione populista che in Italia e in Europa non vogliono immigrati nelle nostre città, ci raccontano sempre che una soluzione c’è: almeno in quelli dove non c’è la guerra – dicono – aiutiamoli nei loro paesi, creiamo economia e lavoro laggiù così non vengono quassù a rubare il nostro lavoro.
Sarebbe una soluzione a costo zero, dicono. In realtà è un’altra di quelle risposte facili a problemi che invece hanno soluzioni molto più difficili: se ce ne sono. E se ce ne sono, non possono essere mai a costo zero.
Ho ricevuto sulla mia mail un comunicato dell’ufficio stampa Confeuro. Il titolo è: “Olio Tunisino, a pagare sono sempre i piccoli produttori”. La nota si riferisce alla decisione del Parlamento europeo di aumentare di 35 tonnellate l’importazione senza dazio di olio tunisino in Europa. In precedenza era già stato previsto di aprire le porte a 56.700 tonnellate, sempre senza dazio, previste dall’accordo di associazione fra Ue e Tunisia.
Questa decisione, dice nel comunicato Rocco Tiso, presidente di Confeuro, “non fa che confermare una sconcertante tendenza di far ricadere prevalentemente sui piccoli produttori agricoli gli effetti della crisi e i limiti gestionali delle istituzioni”. L’olio tunisino “determinerà anche un duro colpo per tutto l’indotto dell’agroalimentare nostrano e per il marchio del made in Italy”.
Non sono un esperto. Ma da quello che ho visto anche grazie a Expo e leggendo le ultime gloriose statistiche; da quello che constato ogni volta che vado all’estero – andarci è parte del mio lavoro – l’agroalimentare italiano e il suo made in Italy stanno andando come un treno. E se parliamo di effetti della crisi e limiti gestionali delle istituzioni, a me preoccupa di più la crisi provocata dall’Isis e i limiti delle risposte che diamo a quel problema.
La Tunisia è l’unico paese arabo che ancora si può salvare dalla catastrofe; è il solo dove le Primavere non sono fallite, nel quale i Fratelli musulmani non hanno mestato ma collaborato onestamente. E’ anche per questo che il califfato ha più volte aggredito la Tunisia, cercando di farla precipitare nel vortice islamista. Turisti italiani sono morti a causa di questo.
Noi abbiamo il dovere morale di aiutare la Tunisia. E l’obbligo di aiutarla economicamente oggi, per non essere costretti a chiederci domani – come in Libia – se dobbiamo mandare i nostri ragazzi a combattere una guerra il cui risultato sarebbe incerto ma sicuramente sanguinoso. E’ esattamente per questo che la Ue ha deciso l’importazione di olio e spero lo faccia anche per tutto ciò che di tunisino è esportabile. Il comunicato di Confeuro non lo dice ma su pressione italiana e spagnola, il parlamento di Strasburgo ha limitato questa agevolazione al 2016 e al 2017. Non oltre.
L’egoismo del presidente di Confeuro è l’egoismo di tutti noi. Tiso in realtà è stato molto moderato e ha usato argomentazioni professionali. Altri, produttori e politici, hanno fatto dello stalking contro chi aveva promosso l’importazione, avevano messo di mezzo la patria e il suo onore senza rendersi conto che stavano umiliando l’una e l’altro.
Sono certo che avrebbero protestato anche l’Ordine dei giornalisti e gli editori se fosse stato deciso di importare gratis giornali tunisini, traducendoli. Si sarebbero lamentati i produttori di mele, i farmacisti e i notai: posto che la Tunisia sia un paese così arretrato e burocratico da avere i notai. Come già per i termovalorizzatori o la distribuzione territoriale degli immigrati, siamo tutti pronti ad aiutare la Tunisia purché questo non debba avvenire nel nostro giardino.
E così torniamo all’esordio di questo post. Anche per tenerli a casa loro, aiutare gli immigrati richiede sempre un prezzo. Perché i problemi facili, oggi, non esistono. Per questo sarebbe bello se ognuno di noi comprasse almeno un litro di olio tunisino. Sappiamo tutti che il nostro è più buono ma non è questo il punto. Quello che non sempre sembra essere di uguale qualità è la nostra solidarietà.
Ugo Tramballi
(12/03/2016 Fonte: Il Sole 24 Ore)