Una ventina di navi di quelle serie – fra cui undici con bandiera tedesca e il gioiello britannico Hms Bulwark della classe Albion, 176 metri di acciaio con tanto di ponte portaelicotteri – alle quali se ne unirà un’altra mezza dozzina di stazza inferiore. Affiancheranno e integreranno Triton, la missione che sorveglia il Mediterraneo affollato di barcacce e cadaveri di migranti, che ora avrà quasi 9 milioni di dote, la stessa di Mare Nostrum che l’ha preceduta.
Potranno praticare il «search and rescue», il che attribuisce ai capitani libertà di manovra, magari anche oltre le 30 miglia, salvando i disperati dove occorre. Così sarà quasi come se si fosse arrivati a una Mare Nostrum in salsa Ue, «de facto» e non «de jure», col solito compromesso all’europea.
Matteo Renzi è soddisfatto, ma concede che «nelle prossime settimane vedremo se si saprà passare dalle parole ai fatti». Col vertice straordinario chiesto dall’Italia, l’Europa si è sforzata di prendere atto che l’onda migratoria che attraversa il Canale di Sicilia è un problema di tutti, non solo italiano o greco. Ha dimostra solidarietà inviando navi, elicotteri, tecnici. Solo una settimana fa sarebbe apparsa un’ipotesi remota, invece il summit ha costruito di risultati concreti, ponendo persino le basi per valutare un’operazione diretta in Libia contro i trafficanti e i loro barconi d’intesa con l’Onu, se possibile: l’alto rappresentante Federica Mogherini sarà a New York e Washington da martedì per questo. Chiaro che l’Unione s’è svegliata. Anche se resta aperta una questione micidiale, quella della destinazione dei salvati dalle acque. Qui non c’è intesa, non proprio.
David Cameron, colto da altruismo europeista sulla via del voto del 7 maggio, è stato il primo a calare gli assi, la Hms Bulwark, tre elicotteri e tre mezzi più piccoli. «Crash the gangs» è lo slogan che ha suggerito ai quotidiani popolari britannici, «distruggere le gang» dei trafficanti d’anime. Ottimo titolo, peccato che la pulsione solidale sia parziale: la nostra offerta, ha precisato, «deve avvenire nelle giuste condizioni, che devono includere il fatto che le persone che soccorreremo siano portate nel Paese sicuro più vicino, vale a dire l’Italia, e che non possano venire a chiedere asilo nel Regno unito».
È la battaglia delle quote obbligatorie, che proprio ieri a Milano i capi politici del partito popolare hanno giudicato soluzione necessaria per il problema della distribuzione. L’Accordo di Dublino stabilisce che i migranti salvati debbano essere identificati e accolti dal Paese delle navi che li ha salvati. Sinora il grosso è passato da noi, salvo che ora si pone il problema di dove mettere quelli ripescati da tedeschi e britannici. Chi ne ha tanti, non ne vuole. Come chi ne ha pochi. E Angela Merkel vuole «registrazioni ben fatte per chi arriva».
Renzi resta prudente. «Un grande passo in avanti per l’Europa», racconta a fine summit: «Verificheremo che sia concreto». Il 13 maggio la Commissione presenterà la sua agenda per l’Immigrazione, a giugno i leader europei rifaranno il punto della situazione. Si terrà quindi anche un vertice con l’Unione Africana, a Malta. Obiettivo: una vera politica per l’immigrazione. Finalmente.
Solidali davvero? La squadra del Mediterraneo avrà mezzi inglesi, belgi, irlandesi, tedeschi, francesi, svedesi, lettoni, norvegesi (sono in Schengen), danesi, irlandesi. Attivi anche Portogallo, Finlandia, Polacchi, con uomini e aerei. Inerti Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia, Austria, Bulgaria, Romania. Perché? E perché non s’è deciso sui numeri del progetto pilota di ricollocamento dei rifugiati? La domanda «dove li mettiamo, dopo averli salvati», la più pericolosa politicamente, non ha risposta. Sarà il nodo dei prossimi mesi. Quello che, da solo, basta a rovinare un giorno altrimenti da segnare sul calendario.
(24/04/2015 Fonte: La Stampa)