Fare il Peul

di claudia

di Marco Aime

I pastori del Sahel sono tenuti a tenere in pubblico un comportamento irreprensibile, aderente ai costumi sociali della tradizione, rispettoso di regole e divieti tramandati nella comunità. Ma quando scende la notte sulla savana è consentito trasgredire…

Dice un detto peul: “Il piede è la parentela”. Sono le visite a conservare i legami familiari. Ma cosa significa parentela presso questa popolazione di pastori che vive ai margini del Sahel? Innanzitutto va chiarito cosa rappresenti la parentela nelle società cosiddette semplici, dove l’unica struttura che regola i rapporti tra le persone è quella familiare. Mentre nelle società complesse, come quella occidentale, ognuno vive del proprio lavoro costruendosi il proprio patrimonio, acquistando la propria casa e instaurando rapporti su basi perlopiù professionali, nelle società tradizionali il patrimonio, cioè la terra o il bestiame, viene trasmesso di padre in figlio e quindi è la famiglia a gestire il capitale. E l’unico modo per ottenerlo è l’eredità. La struttura parentale è quindi l’asse portante della vita dei Peul.

Courtesy Bruno Zanzottera

Ciò che però condiziona maggiormente il comportamento in pubblico non è il rispetto dei ruoli dettati dalla parentela, spesso bellamente trasgrediti, è piuttosto la pulaaku. Impossibile tradurre con una parola questo termine il cui significato è: “fare il Peul”. Fare il Peul nasce dal fatto stesso di esserlo, è un atteggiamento rispetto alla vita che definisce il Peul come tale. L’unità residenziale dei Peul è il wuro, che potremmo tradurre come comunità. un insieme di alcune famiglie nucleari legate da vincoli parentali. Dentro il wuro il comportamento deve essere irreprensibile, e la divisione della società in classi di età impone una serie di condotte ben precise a seconda del rapporto che intercorre tra gli individui. Ci si aspetta una confidenza esagerata con i cugini, fatta di scherzi, insulti e giochi di mano, mentre con i parenti materni è buona cosa che i rapporti siano spontanei e confidenziali. Nei riguardi del padre si manterrà un atteggiamento assai ossequioso, come del resto con tutti gli anziani tranne il nonno. Tra nonno e nipote, infatti, si stabilisce un rapporto di tipo amichevole assai rilassato.

Tutto questo avviene nel wuro, che rappresenta quindi l’ambito delle regole e dei divieti contribuendo a perpetuare i costumi sociali nel tempo. Ma,”fatta la legge trovato l’inganno”: non dobbiamo pensare ai Peul come a militari costretti a una rigida disciplina. Esiste la savana, che sul piano simbolico si oppone al wuro. La savana è il regno della libertà, della trasgressione, degli amori non ufficializzati e degli incontri segreti. Fuori dal wuro gli uomini si lasciano andare a scherzi pesanti, a battute dai marcati contenuti sessuali e a giochi di lotta e di abilità. La savana è una sorta di valvola di sfogo, un luogo dove le regole non hanno più valore e si può dimenticare per un istante di essere Peul. Così la sera si vedono coppiette, non sempre legittime, appartarsi dietro i grandi cespugli secchi, ragazzi sfuggire alla guardia della famiglia e darsi alla savana.

Ma se la savana e il wuro rappresentano i due volti dell’esistenza peul, allo stesso modo il giorno e la notte separano due piani di vita ben diversi.

Courtesy Bruno Zanzottera

Di giorno gli uomini si riuniscono per classi di età e svolgono le loro mansioni di allevatori. Il regno della donna è invece il wuro, dove essa trascorre la maggior parte del tempo. La sua vita è condizionata dai figli: la sottomissione alle necessità dei bambini è dote assai stimata presso i Peul. Sarebbe inaccettabile che una madre lasciasse piangere troppo a lungo un bambino. Questo fa parte della pulaaku femminile, come pure la sopportazione del dolore fisico. Questo atteggiamento le conferisce un certo status latente, per cui il marito non oserà mai impartirle ordini o sgridarla in pubblico. La sua importanza nella società è grande, ma non viene mai riconosciuta pubblicamente, anche perché, vigendo la discendenza patrilineare, la donna si ritrova in una posizione al di fuori della struttura dominante. Ma soprattutto viene considerata la causa dei conflitti interni del gruppo, poiché, legando a sé l’uomo, lo allontana dal suo lignaggio ed è quindi colpevole di minare la struttura sociale.

La donna diventa allora protagonista della notte, simbolo di sessualità e di fecondità. Che si resti nell’intimità della capanna, o che ci si abbandoni alla clandestinità della savana, è sempre la donna a regolare le azioni notturne dell’uomo. Anche i matrimoni vengono celebrati di notte, a testimonianza di come ogni manifestazione che veda l’unione dei due sessi debba essere affidata alla luce clandestina e ambigua della luna. Al contrario, le cerimonie che sanciscono l’ingresso dei giovani nella società si tengono sempre di giorno e prevedono una rigida separazione tra i due sessi. Di giorno i due sessi sembrano quasi ignorarsi. Lo impone la pulaaku e tutti vi si attengono – neppure tra coniugi si notano particolari segni di affetto. C’è la sera e c’è la savana, basta aspettare.

Foto di apertura: courtesy Elena Dak

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