Durante la nostra forzata prigionia causata dal coronavirus, ci sono state offerte in rete diverse opportunità per far fronte alla claustrofobia e alla solitudine: una delle più interessanti per cinefili e non è quella di “Meet the Neighbours of the Neighbours“, organizzata grazie a ACP/UE Culture nell’ambito di CultureXChange, una nuova piattaforma destinata alla comunicazione e allo scambio tra professionisti o aspiranti professionisti del cinema. Grazie a questa iniziativa è possibile visionare gratuitamente su Festival Scope una serie di film di qualità più o meno recenti. Abitualmente Festival Scope presenta film selezionati nei vari festival e ha un costo abbastanza alto, quindi è un’occasione eccezionale e, vi assicuro, vale veramente la pena di cominciare questo affascinante percorso nella settima arte. Da qualche giorno e ancora per poche ore abbiamo la possibilità di visionare alcuni film africani, molto diversi tra loro per stile e contenuto, ma ugualmente interessanti. Ne segnaliamo quattro.
“Trances”, del marocchino Ahmed El Maanouni, racconta, a metà tra il film concerto e un esperimento di free-form audiovisivo, dieci anni del popolare gruppo musicale Nass El Ghiwane; “Run” (2014) dell’ivoriano Philippe Lacôte traccia tra realismo e allucinazioni, un ritratto della gioventù del suo Paese; “Lamb” (2015) di Yared Zekele, primo film etiope presentato a Cannes, racconta con l’ingenuità di una favola l’avventura di un ragazzino lontano da casa e l’affetto che lo lega alla sua pecora. I film sono presentati da Mohammed Challouf, regista tunisino, che è anche autore della quarta proposta, “Ouga, capital du cinéma“, del 2000. Come dice lui stesso presentando il documentario, si tratta di una panoramica su diverse edizioni del FESPACO, la più grande festa panafricana del Cinema, attraverso immagini di archivio e interviste. Non è un film perfetto, vista anche la difficoltà di reperire i documenti, ma confesso di averlo rivisto con piacere, perché con Mohammed condivido un affetto profondo per questo Festival unico al mondo e mi sono nuovamente commossa rivedendo tutti i registi a me più cari, molti dei quali purtroppo non ci sono più.
Il film si apre con un’immagine di Djibril Diop Mambety a Ouaga, uno dei suoi momenti più intensi, quando spiega per strada ai ragazzini la magia del cinema. E poi si susseguono Sembene Ousmane, decano del cinema africano, combattivo come sempre; Gaston Kaboré con la sua pacata saggezza; Ferid Boughedir, brillante critico e regista tunisino; Tahar Cheria, carismatico fondatore delle Giornate Cinematografiche di Cartagine; Fanta Nacro, burkinabé, una delle più note registe africane, con spezzoni del suo film “Le truc de Konaté”, che con molto humor cerca di convincere gli uomini africani ad usare il condom; il geniale, raffinatissimo Abderrhamane Sissako con uno dei suoi film più straordinari, “La vie sur terre”; Idrissa Ouedraogo che rivendica la necessità di un rinnovamento della cinematografia del Continente e Ola Balogun, che annuncia la nascita e la validità di Nollywood. E poi montatori, attori, tutti impegnati per vocazione, perché agli africani sia possibile specchiarsi nella loro cultura, anche se il loro mestiere non garantisce affatto la sicurezza economica, ma solo grandi sacrifici. Il presidente Thomas Sankara, assassinato pochi giorni dopo che avevamo lasciato il Fespaco, mi ha regalato il momento più commovente quando, parlando al suo popolo, lo incita a spezzare le catene che ancora lo legano all’Europa, alla dipendenza dai poteri che lo sfruttano, e dice: «Chi non cerca di spezzare le sue catene, merita di essere schiavo». E mi sono ricordata quando Sankara veniva, senza alcuna scorta, a fare a fare colazione con noi all’hotel Independence, foyer di tutti i registi. E la sera che ho cenato con lui e Fela Kuti, mio carissimo amico, e li ascoltavo incantata parlare di rivoluzioni, solo ora forse cosciente dell’incredibile esperienza vissuta con questi miti.
(Annamaria Gallone)