di Andrea Spinelli Barrile
È stato un finesettimana di terrore in Burkina Faso, dove diversi attacchi a postazioni dell’esercito, cittadine e villaggi hanno lasciato una lunga scia di sangue in diverse province del Paese. L’attacco peggiore è avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 giugno a Seytenga, nella regione del Sahel vicino al confine con il Niger, dove le vittime confermate sono 79, con un tragico bollettino che si aggiorna di almeno 20 persone ogni volta.
Nella serata di martedì il governo di Ouagadougou ha quantificato in quasi 3500 gli sfollati di questo attacco, 465 famiglie che dopo l’attacco si sono ritrovate senza più una casa dove nascondersi, date alle fiamme. L’area dell’attacco è molto vasta, 16 villaggi. Domenica, a mezzogiorno, quattro poliziotti sono morti, due feriti e tre risultano ancora dispersi, in seguito a un attacco alla squadra della sicurezza della stazione di pompaggio dell’acqua potabile di Yakouta, nella città di Dori, meno di 50km di distanza.
Il conteggio dei morti avviene lentamente: i soccorritori infatti temono che l’area sia stata disseminata di ordigni esplosivi improvvisati (Ied), piazzati dal gruppo armato prima di darsi alla fuga. L’attacco non è stato ancora rivendicato: i miliziani, la cui identità è sconosciuta ma che si presume essere un gruppo islamista legato ad al-Qaeda, hanno attaccato durante la notte, cercando le loro vittime casa per casa. La zona era loro ben conosciuta: due giorni prima, giovedì, un altro attacco aveva preso di mira il distaccamento della gendarmeria lì vicino, causando la morte di 11 gendarmi.
Tra sabato e domenica almeno sei civili sono stati uccisi in un altro grande attacco perpetrato da uomini armati contro due villaggi, Alga e Boulounga, nel comune di Bourzanga nel Burkina Faso centro-settentrionale, a 300km circa da Seytenga. Decine i feriti, con case e fattorie date alle fiamme e il bestiame portato via.
Giovedì scorso, in un solo giorno, due distinti attacchi sono avvenuti nelle province di Yatenga e di Kossi, entrambi in prossimità di miniere d’oro informali, respinti entrambi dall’esercito burkinabé in azioni di difesa molto enfatizzate sui media del Paese. Altri attacchi e scontri a fuoco, anche questi respinti dall’esercito e dalle milizie di autodifesa locali, si sono registrati la scorsa settimana a Barani, vicino Kossi, e nelle zone minerarie di Karma, sempre a Yatenga.
Tutte queste località, che ospitano importanti siti artigianali e non solo di estrazione dell’oro, sono bersaglio di terroristi legati ad al-Qaeda da almeno un decennio: si tratta di un’area che attraversa il Burkina Faso da est ad ovest, una linea di 700 chilometri che poi continua, in Mali a oriente e a nord e in Niger ad occidente. Dal 2015, diverse località del Burkina Faso sono flagellate da attacchi terroristici che secondo le autorità burkinabé hanno provocato la morte di oltre 2.000 civili e soldati e lo sfollamento di oltre 1,9 milioni di persone.
La recrudescenza della violenza nelle ultime settimane è tuttavia un dato importante, anche in virtù della natura militare della guida del Paese, dove un colpo di stato ha rimosso dal potere l’ex-presidente Roch Kaboré lo scorso 24 gennaio, consegnando il Burkina Faso al colonnello Paul Henri Sandaogo Damiba, autoproclamatosi poi presidente. La giunta militare al potere ha detto di porsi come obiettivo principale quello della sicurezza e il golpe stesso nasce da un grave lutto tra i militari burkinabé: il 14 novembre 2021 un attentato al distaccamento militare di Inata, nel nord del Burkina Faso, provocò la morte di oltre 60 gendarmi. Quella strage colpì molto l’opinione pubblica del Paese e lo stesso esercito ne uscì con profonde crisi: all’epoca Damiba era incaricato proprio di guidare le operazioni antiterrorismo delle forze armate, che aveva già comandato da generale tra il 2015 e il 2019, proprio nelle regioni del Nord e del Sahel. —