«Un viaggio, sicuramente il mio viaggio».
Con queste parole Laura Luchetti commenta la sua esperienza di regista di Fiore Gemello, il film fuori concorso che ha aperto la 29ª edizione del Festival del cinema Africano, d’Asia e America Latina, tenutosi a Milano dal 24 al 30 marzo. Per la prima volta un film italiano ha aperto questo festival.
Ma perché un film italiano ad aprire una rassegna di film del Sud del mondo?
Certamente non perché sia semplicemente un film sull’immigrazione in Italia; non solo perché uno dei protagonisti è un migrante vero, praticamente giunto in Italia solo qualche mese prima dalla Costa d’Avorio; ma perché è la delicata storia di due viaggi, di due solitudini che si incontrano, formando quello che si chiama fior gemello; due fiori dallo stesso gambo. E, come viene detto nel film, «non si deve mai separare un fiore gemello». Quindi un film che nasce sul viaggio, “migrante”, e che dalla sua genesi viene sostenuto dalla Milano Film Network, fino al suo debutto al Toronto International Film Festival 2018.
Anna e Bassim, due adolescenti, si incontrano sulle strade di una Sardegna arida e solitaria, dove la questione dell’immigrazione rimane sullo sfondo mentre l’accento è posto sulla storia di amicizia e d’amore possibile tra loro, un atto di resistenza di due giovani per restare “umani”.
Anna (Anastasyia Bogach) fugge dalla violenza, violenza che si matura all’interno di ambienti malavitosi, e questa violenza la porta ad un mutismo assoluto, a chiudersi completamente in sé stessa. Bassim fugge per cercare un futuro migliore, quello stesso futuro che l’interprete, Kallil Koné, ha cercato per sé partendo a piedi dalla Costa d’Avorio fino in Libia, dove si era imbarcato per l’Italia a bordo di uno dei tanti gommoni che spesso non ce la fanno ad arrivare a destinazione.
Gli sguardi di Anna ci riempiono di tenerezza per questa velatura di profonda tristezza che si rompe solo nell’incontrare lo sguardo di Bassim, il quale a sua volta si porta dietro un orrore che noi non possiamo nemmeno immaginare.
Quindi un viaggio. E non è certo un caso la presenza della cartina dell’Europa che Bassim porta con sé e consulta come una reliquia, una guida per il suo cammino verso il futuro.
E tutto è sottolineato da una delicatezza nel racconto visivo e dei dialoghi. Campi stretti, inquadrature che ci lasciano concentrare sulle relazioni tra i personaggi, magistralmente ritagliate da Laura Luchetti e dal direttore della fotografia Ferran Paredes Rubio. Inquadrature che si aprono alla meraviglia di una Sardegna altra rispetto alle banalità turistiche.
Delicatezza che si esprime anche nella scelta dei due attori, adolescenti alla prima esperienza alla davanti alla macchina da presa, ma che, guidati dalla regista, esprimono con forza la ricerca di un mondo diverso, di un mondo in cui crescere potendo seguire i propri sogni e aspirazioni.
Laura ci ha raccontato le difficoltà di trovare gli interpreti giusti, particolarmente i giovani, che dovevano incarnare una freschezza narrativa e un dolore esistenziale; ma anche le figure del “cattivo”, un perfetto Aniello Arena, e del fiorista, Giorgio Colangeli, tutti all’altezza dell’ordito drammatico del film.
Un viaggio in questa Europa che nasconde ancora tante chiusure e tante violenze. Un viaggio dove i giovani devono combattere mille battaglie per salvaguardare la propria vita e i propri sogni. Un viaggio che riguarda tutti noi, e Laura con voce rotta ci confessa: «Potrebbe essere mia figlia».
(Dante Farricella)