(reportage dal numero 1/2020 di Africa)
La scena artistica angolana è in pieno fermento. A Luanda i giovani creativi si uniscono per sfidare la censura, denunciare le ingiustizie sociali, protestare contro la corruzione e la repressione del potere politico
Irina Vasconcelos ha un look da vera rocker. Capelli alla mohicana tinti di biondo, bracciali, cinta in cuoio nero, jeans, tacchi altissimi e una grossa collana colorata che ne esalta il collo longilineo. Siamo in un locale della vita notturna di Luanda, capitale dell’Angola. Irina è considerata la regina dell’alternative rock angolano ed è famosa non solo per la sua voce calda e coinvolgente ma anche perché impegnata per i diritti delle donne. Nei suoi brani tocca spesso temi sociali. «Mi piace parlare del mio Paese e delle persone con karma positivo», spiega giocherellando con i numerosi anelli alle dita. Poi si volta prima di salire sul palco passando tra la platea acclamante: «Gli artisti sono come il fluido vitale della natura!».
Artisti impegnati
Fra i grandi palazzi in stile coloniale portoghese dell’antica baixa della metropoli angolana, un gruppo di ragazzi discute davanti a uno dei numerosi murales variopinti e stilizzati che da qualche anno spuntano qua e là ricoprendo facciate di vecchi edifici e grigi muri di cemento. L’hanno appena concluso e ora scattano una foto da mettere su Instagram. «Siamo il gruppo di artisti di strada Verkron», spiega Mercedes de Carvalho, in arte “Mac33”. Ha un look ribelle, lunghe trecce decorate e tatuaggi. Un tiro di sigaretta prima di continuare: «Le nostre opere cercano di trasmettere un messaggio sociale affinché il popolo angolano riscopra la spiritualità della propria cultura e non svenda i suoi valori in nome del consumismo materialista».
Le fa eco José Manuel, soprannominato “Reseta”. Sistemando bombolette di vernice e altri strumenti, aggiunge: «La vera scena artistica in Angola è quella underground, non quella legata all’élite politico-economica. L’arte non è solo per i ricchi. Sopravvivere per un artista è una sfida, ma noi non molliamo. E denunciamo le diseguaglianze. Per questo abbiamo partecipato al Fuckin’ Globo con un’installazione riguardante la mancanza di alloggi per le classi povere di Luanda».
Insieme per graffiare
Fuckin’ Globo è un collettivo di artisti nato nel 2014, che organizza due volte l’anno un evento completamente gratuito all’interno dello storico Hotel Globo di rua Rainha Ginga, in pieno centro storico. L’albergo, di epoca coloniale, è decadente e non ospita più viaggiatori e uomini d’affari, ma durante l’evento ognuna delle sue camere viene assegnata a un artista o gruppo del collettivo che la trasforma in un’opera d’arte, con performance di pittura, scultura, teatro, danza e musica. L’ultima edizione, dicembre 2018, ha avuto un grande successo.
Tutto è nato da un gruppo di cinque amici che si ritrovano al “Bar da Tia Lurdes”, una bettola a fianco dell’Hotel Globo. In un Paese dove l’élite dell’Mpla, il partito al potere sin dall’indipendenza (1975), controlla l’economia e mette a tacere ogni forma di dissidenza con censura e forze di polizia violente, questi artisti hanno sentito il bisogno di riunirsi per dare un messaggio di libertà: «From the people to the people. Fuck the institutions».
Il collettivo è nato in un momento difficile, quando in Angola stava emergendo l’attivismo politico inteso come protesta contro i limiti alla libertà d’espressione e la corruzione del potere ultratrentennale della cerchia familiare e clientelare del presidente José Eduardo dos Santos, che poi nel 2017 avrebbe lasciato il potere a João Lourenço generando grandi aspettative di cambiamento benché anch’egli sia espressione dell’Mpla.
Aprire le menti
«Il collettivo e la sua manifestazione al Globo sono una ventata di ossigeno per la società angolana», spiega Kiluanji Kia Henda, uno degli fondatori, seduto su una sedia di plastica rossa del bar. «Bisogna prima di tutto battere la censura che è nella testa della gente, rimasta incatenata troppo a lungo e disabituata alla libertà».
Nell’ambito del tema scelto dal collettivo per la successiva edizione, gli artisti possono e devono esprimersi senza limitazioni. «Il nostro Hotel Globo è un vaso di Pandora, in termini di libertà creativa. In Angola, trovare un luogo con spazi per l’arte moderna che non sia musica o danza è molto difficile», esclama Thó Simões, artista plastico e pittore di Luanda, famoso anche all’estero per i suoi graffiti e quadri dipinti con tecniche ricercate. È sua l’opera sulla facciata dell’Hotel Thomson House nella turistica Ilha de Luanda, un altro spazio divenuto nucleo d’arte perché ricolmo di opere angolane destinate alla vendita, con il 100% dei ricavi destinato agli artisti. «Sono entrato nel collettivo perché ricercavo la totale libertà di espressione. Ci sono sempre novità e ciò ispira e stimola anche gli artisti più giovani», continua Simões, autore di un’installazione chiamata Congolandia. Universo em desencanto, che denuncia il saccheggio delle ricchezze congolesi a favore del benessere dell’Occidente.
Lotta pacifica
Lo ricorda bene anche Antonio Sande, detto “Tony”, ballerino professionista della Companhia de Dança Contemporânea de Angola, che da alcuni anni partecipa con proprie performance alle attività del collettivo. «Due anni fa, in una stanza del Globo veniva scelta una foto e partendo da quella realizzavamo una figura di danza accompagnata da musica e luci. Trovo la cosa eccitante, perché attraverso il movimento del corpo i popoli africani hanno sempre voluto trasmettere messaggi. Questa è un’occasione per veicolarne ancora, tramite nuovi stili».
La scena angolana dell’arte è dunque in pieno fermento. Pur essendo, a detta degli artisti, ancora ristretta a un numero limitato di persone, è sintomo di un fervore culturale per nulla scontato in una nazione dove il boom economico degli anni Duemila, oltre ad aver accentuato le diseguaglianze sociali, ha diffuso «ideali consumistici e individualisti spudorati», come sottolinea l’artista plastico Adalberto Ferreira, “Toy Boy”, nel locale “Sete & Meio” in rua Major Kanhangulo, dove sta esponendo le sue opere. «I politici ex-militari hanno fatto promesse illusorie agli angolani diffondendo superficialità e facendo scelte sbagliate per i loro interessi. L’arte che esprimiamo con il collettivo è una reazione a tutto questo. Un mezzo per combattere il sistema pacificamente».
(testo di Marco Simoncelli – foto di Giulio Paletta)