Per decenni l’economia del Gabon si è retta sulle esportazioni petrolifere e di legname. Ma le incertezze sull’andamento del greggio e le sfide ambientali impongono oggi di puntare con maggiore vigore sulla conservazione e promozione di un patrimonio forestale eccezionale
di Irene Fornasiero – foto di Alberto Caspani
Dal cielo, a bordo di un piccolo Cessna, il Gabon appare come una fitta macchia verde, al cui interno s’intravede un’infinita rete di corsi d’acqua che serpeggiano verso l’Atlantico. L’88% della superficie di questo Paese tagliato a metà dalla linea dell’Equatore è occupato dalla foresta pluviale. I suoi intricati labirinti vegetali sono l’habitat prediletto di primati (mandrilli e gorilla di pianura su tutti), leopardi, bufali ed elefanti, che spesso si spingono fino alla costa, insieme ai surfing hyppos, gli ippopotami che si bagnano nelle acque dell’oceano, tra balene megattere e tartarughe liuto. Uno straordinario patrimonio naturalistico custodito in 13 aree protette che si estendono su oltre il 10% cento del territorio nazionale.
Sin dal periodo coloniale, le grandi riserve di legname presenti nella foresta hanno suscitato l’interesse di importanti compagnie occidentali, alle quali di recente si sono sostituite imprese asiatiche. Il disboscamento è una ferita sempre più evidente. A farne le spese per primi sono i pigmei, popolo di cacciatori e raccoglitori, che per secoli hanno vissuto in simbiosi con l’ambiente. Intere porzioni di foresta primigenia vengono rase al suolo e il legname viene poi trasportato sulle acque del fiume Ogooué. Dal 2010, il governo impone alle compagnie di trasformare il legname in loco: un vincolo che ha prodotto benefici all’economia locale, con un aumento dell’occupazione, ma non ha frenato la corsa sfrenata dei taglialegna.
L’illusione del greggio
La stabilità del Gabon si fonda su un regime che da oltre cinquant’anni tiene saldamente le redini del Paese. Ai vertici c’è la famiglia Bongo, guidata a lungo dal defunto Omar, divenuto presidente nel 1967, che nel periodo del suo mandato seppe stringere rapporti importanti con Russia e Cina, senza tuttavia escludere Francia e Stati Uniti (fu il primo presidente africano ad essere ricevuto da Obama).
Il figlio, Ali Bongo, succedutogli nel 2009, è tuttora al potere, anche se appare indebolito dalla malattia e dalle accuse di malgoverno e di corruzione. La ricchezza su cui si poggia il suo potere proviene dai ricchi giacimenti petroliferi, che garantiscono la metà delle risorse nazionali a fanno prosperare una ristretta oligarchia. Benché sulla carta il Gabon vanti il Pil pro capite più elevato dell’Africa subsahariana, i contrasti sociali sono evidenti, specie nelle grandi città. Le previsioni non sono rosee: gli analisti preannunciano per i prossimi anni una progressiva perdita di redditività del settore petrolifero e avvertono dell’urgenza di diversificare le politiche economiche.
Enormi opportunità
L’ecoturismo potrebbe essere il settore chiave su cui puntare per promuovere un’economia più sana e inclusiva. Ma l’afflusso dei visitatori (che oggi producono il 4% del Pil) è frenato dagli alti costi dei servizi (hotel, noleggio auto, voli interni) e dalla mancanza pressoché totale di una rete stradale, mal rimpiazzata da un servizio ferroviario inaffidabile.
Il potenziale di sviluppo è enorme e non mancano segnali incoraggianti. Il Parco Loango, vero gioiello del Paese, si estende da Iguela a Sette Cama, tra la laguna e il mare. Vi circolano indisturbati elefanti, coccodrilli e ippopotami, ma la vera attrazione è rappresentata dai gorilla di pianura, che si possono avvistare e avvicinare addentrandosi nel fitto della foresta. Un’esperienza straordinaria, che necessita però di regole severe per mitigare l’impatto del contatto con l’uomo: non più di quattro persone al giorno, tre giorni a settimana, e una distanza minima di sette metri. Accorgimenti necessari, ripagati dall’emozione dell’incontro con le diverse famiglie di gorilla di pianura, dai silverback, i maschi dominanti, alle femmine adulte con i loro piccoli.
Incisioni e bracconieri
Il Parco della Lopé, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, è noto per la sua vasta popolazione di elefanti, bufali, gorilla e mandrilli. Delimitato a nord dall’Ogooué, è caratterizzato da savane e foreste che custodiscono al loro interno siti preistorici con 1200 incisioni rupestri, risalenti forse al Neolitico, tra le più interessanti dell’Africa centrale. I graffiti sono disseminati su massi granitici celati tra le felci. Alcuni riproducono forme geometriche, altri, motivi animali. Si alternano insetti giganti e lucertole contorte, simboli misteriosi di civiltà scomparse che in tempi antichi hanno abitato questi vasti territori dove la natura regna sovrana.
Un tempo il Parco della Lopé era “terra di conquista” per i bracconieri, oggi è difeso da squadre di ranger come Mamadou Keita, giovane maliano emigrato in Gabon, che racconta: «Un tempo lavoravo di notte per aiutare i cacciatori illegali a introdursi nella zona e a portare la refurtiva verso la frontiera congolese… Non mi piaceva, ma dovevo farlo per vivere. Oggi accompagno i turisti, che invece dei fucili hanno innocue macchine fotografiche. Il governo ha investito molto sui parchi nazionali, le aree protette sono più sicure, e le condizioni dei villaggi ai margini della foresta sono decisamente migliorate. Sicuramente guadagnavo di più prima, ma oggi mi sento più sereno e soddisfatto. La foresta e i suoi animali sono la cosa più preziosa che abbiamo».
(Irene Fornasiero – foto di Alberto Caspani)
Questo articolo è uscito sul numero 2/2020 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.