Gambia, il costo della pesca per l’ambiente

di claudia
pesca

di Andrea Spinelli Barrile

Le cattive pratiche di alcuni attori del settore della pesca in Gambia stanno mettendo a serio rischio i mezzi di sussistenza delle persone, danneggiando l’ambiente delle regioni costiere di tutta l’Africa occidentale. Lo rivela un rapporto pubblicato da Amnesty International e intitolato “Gambia, il costo umano della pesca eccessiva. In che modo l’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche a Sanyang minaccia i diritti umani”.

Il rapporto si basa su indagini condotte nella capitale Banjul e nella regione costiera di Sanyang, che è sia una zona turistica che un punto di riferimento per la pesca, e rivela una condizione delle popolazioni locali a Sanyang (sud-ovest) estremamente difficile, non solo a causa della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata ma praticata da navi industriali straniere provenienti in particolare dalla Cina e dall’Unione Europea, ma anche delle attività di una grande azienda straniera produttrice di farina di pesce e olio di pesce, Nessim fishing and fish processing co, (Nessim), che opera nell’area dlla fine del 2017.

Il settore della pesca rappresenta il 12% del Pildel Gambia e fornisce occupazione diretta e indiretta a oltre 300.000 persone, su una popolazione totale di 2,2 milioni di abitanti. I pescatori si trovano spesso a competere con i grandi pescherecci stranieri che, a causa della mancanza di pattuglie sufficienti da parte della marina gambiana, si avvicinano alla costa più di quanto consentito, pescando in aree riservate ai pescatori artigianali. Queste pratiche sono illegali e queste navi depredano illegalmente le abbondanti risorse ittiche del Paese, causando gravi conseguenze sui mezzi di sussistenza della popolazione locale, la cui sopravvivenza dipende appunto dalla pesca.

Inoltre, tali pratiche rappresentano un rischio per la sicurezza alimentare: il pesce, che una volta forniva tra il 50 e il 60% del fabbisogno proteico animale dei gambiani, è sempre più raro e costoso sul mercato locale.

Lo stabilimento Nessim lavora in particolare la sardinella e il bonga, due specie che costituiscono una fonte essenziale di reddito per gli abitanti del litorale e una fonte di proteine. Questi pesci pelagici vengono trasformati in farina e olio ed esportati in particolare in Europa e in Asia, dove vengono utilizzati per l’alimentazione degli animali da allevamento e dei voraci pesci d’acquacoltura: ogni anno vengono esportate circa 19.300 tonnellate di pesce attraverso le attività di fabbriche di farina di pesce, navi industriali straniere e imprese di lavorazione del pesce destinate ai mercati esteri. Nel 2019, pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici hanno rappresentato il 26,6% delle esportazioni gambiane, in forte aumento rispetto al solo 11,4% del 2015.

Tuttavia, i danni causati dalle cattive pratiche di alcuni attori del settore della pesca non si fermano qui. Gli agricoltori vicino allo stabilimento di Nessim affermano che la produttività della loro terra è diminuita, a causa della proliferazione di parassiti che in precedenza non c’erano. I proprietari di ristoranti, hotel e bar lungo la spiaggia, invece, affermano di aver perso clienti a causa dei cattivi odori provenienti dalla fabbrica.

L’azienda Nessim è stata anche più volte multata dall’Agenzia nazionale per l’ambiente del Gambia per non aver adeguatamente trattato le sue acque reflue, che vengono scaricate direttamente in mare. I pescatori che riforniscono l’impianto hanno anche denucniato di aver rimesso in acqua pesci morti dopo che la Nessim si era rifiutata di acquistarli.

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