Gerd, la diga della discordia

di claudia
Gerd

di Mario Ghirardi

Il fronte è caldissimo e non sarà l’acqua a raffreddarlo, anzi. E’ infatti proprio attorno a questo vitale elemento della natura, non solo africana, che si stanno incendiando i rapporti tra popoli, etnie, governi, signori dell’industria, ambientalisti, diplomazie. L’immensa diga voluta dal governo dell’Etiopia a sbarrare il corso del Nilo Azzurro proprio al confine con il Sudan durante l’estate ha fatto alzare ad un livello altissimo gli attriti non solo tra Etiopia e Sudan, ma anche, e forse più, con l’Egitto, che vede messe pericolo le vitali inondazioni del fiume che da millenni coprono di fertile limo il suo suolo.

Abbiamo recentemente scritto dei forti contrasti analoghi generati dall’imminente completamento dell’altra possente diga intitolata all’ex presidente Julius Nyerere, la cosiddetta ‘JNHPP’, che in Tanzania sommergerà entro poche stagioni vaste porzioni dello straordinario Parco nazionale del Selous (e che per questo l’Unesco ha cancellato dall’elenco dei siti protetti classificati come ‘Patrimoni dell’umanità’, con tutto ciò che ne consegue anche dal punto di vista economico, oltre che della tutela di flora e fauna). Nei mesi scorsi preoccupazioni sono nate inoltre attorno agli stravolgimenti naturali causati anche qui dal completamento di un’altra diga, questa volta la ‘Gibe III’, opera italiana, che sbarra in Kenya il celeberrimo lago Turkana e inonda la valle dell’Omo.

La JNHPP può produrre 2115 MW d’energia idroelettrica, è lunga un chilometro e capace di contenere 34 miliardi di metri cubi d’acqua, con un lago artificiale di 1200 chilometri quadrati, lungo 100 chilometri e più; la Gibe III è un poco più piccola: ha una potenza di 1870 MW, e fa parte di un complesso sistema di sbarramenti fluviali, con  due altre dighe minori già costruite e altrettante in progetto nella confinante Etiopia. La sua capacità è di quasi 12 miliardi di metri cubi d’acqua per un bacino di 210 km quadrati di superficie, lungo 151 Km.

E che dire delle dispute esistenti intorno alle acque di un sempre più esangue lago Ciad, chiave di volta delle economie e delle politiche di quattro Stati del centro Africa, come Niger, Nigeria, Camerun e Ciad. La Fao ha certificato che permette la vita in loco a circa 30 milioni di persone, nonostante la dimensione dello specchio d’acqua dai 25mila chilometri quadrati di superficie rilevati nel 1963 si sia ridotta a meno di 1,5 mila già 20 anni or sono.  Ovvero il gigantesco lago ha perso in neanche mezzo secolo qualcosa come il 90 per cento delle sue risorse idriche, un po’ per la siccità e un po’ per il continuo prelievo di acqua per l’irrigazione, mettendo in bilico la sopravvivenza di pescatori e allevatori e generando vasti conflitti sociali che coinvolgono anche gli stessi agricoltori.

Torniamo in Etiopia, dove, come in Tanzania e in Kenya, tutto si gioca nel voler fornire adeguata energia alle industrie di cui si sta cercando a tutti i costi di ampliare la capacità produttiva, giudicata l’unica possibilità di sviluppo economico del Paese, mettendo in secondo piano altre esigenze, con parallela, significativa repressione del dissenso di chi non condivide tali scelte. La Gerd, acronimo di Grand Ethiopian Renaissance Dam, un nome che la dice lunga a tal proposito, è in fase di completamento ed è arrivata già al suo terzo riempimento. Si tratta della più grande diga mai realizzata in Africa, capace di una potenza massima di 6450 MW, oltre il triplo della sua collega JNHPP e 3,5 volte più della Gibe III. I lavori iniziarono più di decennio fa con una spesa preventivata di 4,8 miliardi di dollari e un appalto aggiudicato alla Webuild, impresa italiana conosciuta fino al 2020 con il nome di Salini Impregilo. E’ alta 155 metri, lunga 1,79 chilometri e affiancata da una diga secondaria alta 50 metri e lunga 5,2 chilometri. Il bacino ha un volume di capacità reale di 59,2 chilometri cubici, con un volume di acqua totale di 74, ovvero tre volte il pur enorme lago Tana; due le centrali elettriche costruite e dotate di16 turbine in totale.

Importante notare che le ultime propaggini della Gerd sono situate a poco più di 3 chilometri dal confine con il Sudan. Da qui a raggiungere la capitale Karthoum, dove il Nilo Azzurro confluisce nel Nilo Bianco, il corso del fiume si snoda per 400 chilometri per poi proseguire per altre migliaia oltrepassando il confine con l’Egitto e attraversandolo interamente da sud a nord sino a sfociare con un delta nel Mar Mediterraneo. Quale significato abbia avuto il Nilo nella plurimillenaria storia egiziana non è il caso di ricordarlo qui, se non per dire che le periodiche alluvioni del fiume da sempre hanno permesso la vita con il loro apporto di limo, con il conseguente straordinario sviluppo di una civiltà in un luogo altrimenti totalmente desertico, e inospitale, privo di altri approvvigionamenti idrici.

I timori odierni degli egiziani sono che quell’indispensabile piena stagionale possa in qualche modo venir meno, con i prelievi d’acqua a monte, in Etiopia, necessari per produrre elettricità, che potrebbero fare il paio con sempre più lunghi periodi di siccità e con l’evaporazione d’acqua dal bacino. Considerando gli stoccaggi, il flusso medio annuo del fiume, che è di 49 miliardi di metri cubi d’acqua a partire dal confine sudanese, potrebbe diminuire mettendo in crisi la produzione di energia elettrica e i mezzi di sostentamento di 2 milioni di agricoltori.

Questo significa che è assolutamente doveroso trovare un accordo diplomatico per la gestione dei flussi d’acqua, ma il fatto che se ne discuta da 15 anni senza essere ancora arrivati ad una soluzione condivisa tra Etiopia, Sudan ed Egitto incute seri timori. C’è persino chi pensa che se non si troverà un accordo a tavolino tra i tre Paesi, il conflitto potrebbe trasferirsi sul piano delle armi, scatenando una vera e propria guerra per impossessarsi delle risorse idriche. La storia ci insegna che nel 1929, proprio a questo proposito, fu siglato un accordo con il Sudan che dava all’Egitto il potere di veto sulla costruzione di barriere lungo il Nilo, seguito da un altro patto del 1959 che stabiliva che il 66 per cento delle acque spettava agli egiziani e il 22 per cento ai sudanesi. Accordi che però non coinvolgevano l’Etiopia, che quindi li disconosce, senza che questo Paese però ne proponga di nuovi ed alternativi.

A peggiorare le cose è la conflittualità recentemente sviluppatasi con il Sudan dopo i conflitti armati nella regione etiope del Tigrè, che hanno creato attriti tra le Nazioni anche per via dei tanti profughi in fuga.
L’Egitto intanto non molla. Nel Forum internazionale di Davos 2022 ha ribadito di vedere la Gerd come una minaccia alla sua sicurezza, dopo che l’Etiopia ha riempito il bacino con 4,9 metri cubi d’acqua nel 2020 e altri 13,5 nel 2021, iniziando a produrre energia elettrica.

La siccità di quest’anno oltretutto rischia di pregiudicare ancor più i flussi a valle, mentre la diplomazia delle grandi potenze del pianeta, che pure sembrava essersi presa in carico l’onere di dirimere la contesa, è oggi ‘distratta’ dalla guerra in Ucraina. Il fuoco continua a covare questa volta non sotto la cenere, ma per paradosso sotto l’acqua. Il capitolo finale resta tutto da scrivere.

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