Ghana alle elezioni con l’economia inceppata

di Marco Trovato
Oggi 17 milioni di ghanesi sono chiamati a scegliere il nuovo Capo dello Stato. Il presidente uscente Nana Akufo-Addo, in cerca di una riconferma, è insidiato dal suo predecessore, John Dramani Mahama. L’incertezza sull’esito del voto si sovrappone a quella per l’economia che dopo anni di boom sta rallentando a causa dell’epidemia. Sarà una prova di maturità per una nazione presa spesso come modello di democrazia

Oggi lunedì 7 dicembre, circa 17 milioni di ghanesi sono chiamati alle urne per scegliere il presidente e i deputati del Ghana. È una tornata elettorale decisiva per riportare il Paese alla crescita pre-pandemia e il suo svolgimento senza intoppi lo confermerebbe modello di democrazia africana.

Dall’avvento del multipartitismo con la nuova Costituzione del 1992, infatti, in Ghana si alternano pacificamente al governo i due principali schieramenti verso cui si orienta il 90% dell’elettorato: il Nuovo Partito Patriottico (NPP) e il Congresso Democratico Nazionale (NDC). A questi appartengono, rispettivamente, il presidente in carica Nana Akufo-Addo e il suo predecessore John Mahama, che si contendono ai seggi il loro secondo e ultimo mandato. Ci sono poi altri 10 candidati, ma tutti ritenuti di poco rilievo.

L’atmosfera è dunque concentrata attorno ai primi due, «i cui manifesti sono affissi ovunque per le strade della capitale Accra», scrive Maria De Vergès su Le Monde. Se Akufo-Addo chiede “quattro anni in più per fare di più” (four more to do more), Mahama si definisce “in movimento” (on the move). Come l’economia che dice di voler creare: «una più avanzata, h24», contro quella stagnante «da 8 ore lavorative» di cui sarebbe responsabile il presidente. Quest’ultimo, invece, rammenta all’avversario gli scandali di corruzione del suo governo (anche se l’attuale esecutivo non può dirsi molto migliore).

Il presidente uscente della Republica del Ghana, Nana Akufo-Addo e il suo principale sfidante: l’ex presidente John Dramani Mahama

«Fino alle 23 di sabato c’erano ancora comizi dei candidati. Era tutto molto concitato, ma senza tensioni», racconta Geoffrey Buta, fotoreporter locale, che in questi ultimi giorni ha girato per Accra per raccontarne il clima pre-elettorale. «Eppure la città è meno trafficata del solito e il venerdì sera senza ingorghi è stato inusuale. Molte persone sono tornate nelle proprie città dove sono iscritte a votare».

Tra queste, anche molti residenti della regione del Volta, confinante con il Togo, che è stata al centro di polemiche nelle ultime settimane.

Incomprensioni nel Volta
Per il controllo delle frontiere, chiuse dall’inizio della pandemia, il governo aveva mandato già a marzo l’esercito nelle regioni di confine. Il dispiegamento di forze armate si è poi intensificato in due momenti: durante le operazioni preliminari di registrazione degli elettori, tenutesi dalla fine di giugno ad agosto, e nei giorni scorsi, in vista delle elezioni odierne.

Nel primo caso, l’intenzione era (anche) di impedire ai togolesi di entrare in Ghana e iscriversi illegalmente ai seggi per votare, come sarebbe successo in passato. La frontiera tra Ghana e Togo, infatti, divide comunità e famiglie della stessa etnia e con interessi comuni. Nel secondo, si vuole prevenire il rischio d’instabilità, come quelle dello scorso settembre, quando un gruppo secessionista ha tentato di dichiararne l’indipendenza, rivendicando il Western Togoland.

Però, nel Volta, che è il più fedele bacino elettorale del NDC, gli esponenti di questo partito e le autorità locali hanno accusato il governo di usare la presenza militare per intimidire la popolazione, inibendone l’affluenza alle urne, a questo sfavorevole. La Camera dei Capi della regione, l’assemblea dei leader tradizionali, ha persino emanato un comunicato chiedendo «il ritiro immediato delle forze di sicurezza che creano un clima ostile e scoraggiano i cittadini a esercitare il voto».

Ma altri la pensano diversamente: «la gente non ha paura, anzi, l’esercito che pattuglia i dintorni spinge molti a votare», spiega Evans Ahorsu, che ha attraversato la regione nelle scorse settimane per collaborare alla comunicazione della campagna elettorale di alcuni candidati al parlamento.

A prescindere dalle opinioni sulla presenza militare nell’aerea, è molto probabile che il Volta resti fedele all’NDC. Ad altalenare tra i due maggiori partiti sono invece le regioni Occidentale, Centrale e di Accra, decisive per il risultato finale.

Per vincere le elezioni al primo turno occorre il 50% + 1 dei voti. Un’eventuale seconda votazione avverrebbe entro 21 giorni dalla prima ed è ragionevole aspettarsela. Secondo Kofy Abotchie, direttore dell’emittente locale Radio Dela, «il presidente in carica otterrà poco meno del 50% e andremo al ballottaggio».

Il Ghana, nazione anglofona grande circa la metà della Spagna, confina con tre Paesi francofoni: Costa d’ Avorio, Burkina Faso, Togo

Come sta il Paese?
Chiunque vinca sa di dover mantenere il Ghana all’altezza delle aspettative degli investitori internazionali.

Akufo-Addo aveva rilanciato con successo il Paese sulla scena globale, annunciando a gennaio 2017 l’intenzione di rinunciare agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). A dicembre dello stesso anno, durante un incontro bilaterale, ribadiva a un imbarazzato presidente francese Emmanuel Macron la necessità di «liberarci di questa mentalità della dipendenza e smetterla di chiederci cosa possono fare i francesi o l’Europa per noi».

In coerenza con quelle parole, da aprile 2019 il Ghana aveva in effetti abbandonato il FMI, che dal 2015 ad allora aveva concessovi circa $928 milioni. Salvo poi bussarvi di nuovo alla porta all’inizio della pandemia per un prestito di $1 miliardo, a cui si aggiungono altri $100 milioni dati dalla Banca Mondiale.

Secondo Thomas Naadi, corrispondente della BBC in Ghana, «anche se i servizi anti-covid non sono stati costanti, a causa dello stanziamento intermittente di fondi, ad Akufo-Addo è stato riconosciuto di aver fronteggiato bene la crisi con sussidi e sostegno alle imprese».

Se ora la previsione di crescita del Ghana per il 2020 è dell’1% circa, prima della pandemia era del 6.5%, una cifra notevole e ma inferiore rispetto all’anno prima (era il 7%) e che sarebbe calata in modo netto nei prossimi anni. Il Paese, infatti, ha un’economia ancora troppo concentrata su cacao (di cui è secondo produttore mondiale), oro e petrolio (dal 2010).

Per diversificare, tra le altre cose, Akufo-Addo ha puntato sullo sviluppo infrastrutturale, tanto da istituire il Ministero dello sviluppo ferroviario. Ha inoltre definito il 2020 come l’anno delle strade, volendo accelerare i lavori nei cantieri aperti in tutto il Paese.

Ma per uno sviluppo sostenibile occorre fare i conti con la corruzione, che costa al Ghana $3 miliardi l’anno. La strategia del presidente per affrontarla era cominciata a inizio mandato con la nomina di un Procuratore Speciale anticorruzione, Martin Amidu, e si è conclusa poche settimane fa con le dimissioni dello stesso, che ha accusato il governo di interferenze nel suo lavoro, i cui risultati si fa comunque fatica a elencare. «Il tema della corruzione è centrale per i ghanesi. Ma tutti i presidenti hanno pienamente fallito nel combatterla. Sia Akufo-Addo che Mahama. L’uno non offre più dell’altro», spiega ancora Naadi.

Nonostante la crescita, che dagli anni ’90 ha drasticamente ridotto il tasso di povertà, in Ghana la diseguaglianza sociale è forte e le misure dei governi non raggiungono ancora ampie fette di popolazione. A queste, anche il leader dell’NDC promette un programma di infrastrutture, poi di rendere gratuite anche le scuole superiori private e di creare 1 milione di nuovi posti di lavoro stimolando il settore privato. Il presidente in carica, invece, ha ricordato di recente i risultati ottenuti nell’educazione e nell’accesso all’elettricità, che intende implementare.

Entrambi dovranno ripartire dalle ceneri dell’anno delle strade…incomplete.

(Jacopo Lentini)

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