Mentre l’Organizzazione mondiale delle migrazioni pubblica il tragico bollettino delle morti dei migranti (cfr Buongiorno Africa e Oltre duemila migranti morti), Radio France International pubblica un articolo sull’emergenza migrazioni a Gibuti.
Gibuti è un Paese del Corno d’Africa sulle coste del Mar Rosso. Ha una superficie pari a quella della Lombardia, ma è abitato solo da 800mila persone. Da marzo, quando è iniziata la guerra in Yemen, è oggetto di un costante flusso di yemeniti che cercano rifugio dai combattimenti. Da marzo a oggi sono arrivati circa 10mila persone, tra queste molte donne e bambini. In proporzione alla popolazione, è come se in Italia in pochi mesi fossero arrivati più di 600mila migranti. Giungono in condizioni terribili: hanno bisogno di acqua, hanno bisogno di mangiare, hanno bisogno di riparo dal sole cocente. Il piccolo Gibuti risponde come può, aiutato dall’Alto commissariato per i rifugiati (Acnur) e da alcune Ong locali. Ma la situazione è sempre più difficile.
Il ministro degli Interni, Hassan Omar, ha chiesto l’aiuto della comunità internazionale: «Non è possibile umanamente chiudere la porta a donne, bambini e vecchi. È vero, non abbiamo i mezzi necessari per fornire sostegno a queste persone ed è per questo che chiediamo aiuto. Abbiamo chiesto cibo, medicine, ma anche tende. Alcuni Paesi hanno risposto positivamente, ma non basta». Hassane Omar teme che la situazione possa peggiorare: «Questi rifugiati, quando sono arrivati, pensavano che la guerra sarebbe durata un mese, un mese e mezzo e che poi sarebbero potuti tornare a casa. Ma questo non è così. Il conflitto non è ancora terminato e continuano ad arrivare».
Di fronte alle polemiche politiche italiane e a partiti politici che urlano all’invasione (anche se in Italia, ben più grande di Gibuti, in sei mesi sono arrivate 46mila persone, in gran parte già fuori dal nostro Paese), forse bisognerebbe guardare agli esempi come quello di Gibuti che, con pochi mezzi, pochi spazi e in condizioni di estrema difficoltà, continua ad accogliere gente in fuga. È questo il senso della solidarietà.