Gibuti sta vivendo una delle peggiori serie di siccità consecutive della sua storia, oltre a un afflusso di migliaia di migranti provenienti dall’Etiopia e dalla Somalia. Lo ha detto Anne Wanjiru Macharia, della Federazione internazionale della Croce e della Mezzaluna Rossa (Irfc), in un comunicato su un rapporto speciale diffuso ieri da Irfc.
“Gargaar” è una parola locale somala usata a Gibuti per esprimere la solidarietà della comunità. Evidente in tutto il Paese, gargaar significa che le comunità sono ospitali e accoglienti, pronte a ospitare e aiutare chiunque incontrino.
Con i combattimenti e l’insicurezza nelle vicine Etiopia e Somalia, sempre più persone stanno arrivando a Gibuti e quindi il gargaar è fondamentale in molte comunità in tutto il Paese. Gibuti inoltre sta attraversando una delle peggiori serie di siccità consecutive della storia, e secondo Irfc “è chiaro che occorre fare molto di più per soddisfare le crescenti esigenze delle persone colpite dagli impatti combinati di conflitti, migrazione e cambiamento climatico”.
Nonostante le comunità gibutine siano esse stesse a corto di risorse come cibo e acqua, l’accoglienza e la solidarietà non mancano ma c’è bisogno di qualcosa di più strutturato. Le siccità verificatesi nell’ultimo decennio hanno fatto sì che molti pastori gibutini abbiano perso il loro bestiame e i loro mezzi di sussistenza e si siano ritrovati sfollati interni, impoveriti e dipendenti dall’assistenza umanitaria.
Entro la fine dell’anno, secondo Irfc circa 285.000 persone, che rappresentano il 24% della popolazione totale di Gibuti, saranno in condizioni di grave insicurezza alimentare, e circa 100.000 persone si troveranno in condizioni di insicurezza alimentare di emergenza, entro la fine dell’anno.