Gibuti: metà del Pil perso a causa della guerra in Tigray

di Enrico Casale
il porto di gibuti

L’economia di Gibuti, piccolo Paese del Corno d’Africa, sta risentendo molto della guerra nel Tigray (Etiopia) e della pandemia di covid-19.

Secondo quanto riporta la stampa locale, da mesi ormai, il movimento delle merci dal porto di Gibuti verso l’Etiopia è ostacolato a causa del conflitto senza fine tra le Forze di difesa del Tigray (milizia legata al Fronte popolare di liberazione del Tigray) e le forze armate federali (che dipendono dal governo di Addis Abeba). Il ministro delle Finanze di Gibuti, Elias Muse Dawaleh, ha dichiarato alla Bbc, che negli ultimi dodici mesi il Paese ha perso metà della sua ricchezza nazionale, ovvero 1,7 miliardi di dollari, a causa del calo delle entrate. A risentirne anche l’occupazione, con la perdita di migliaia di posti di lavoro.

La guerra ha colto il piccolo Paese mentre stava lottando per far fronte agli effetti dell’infestazione di locuste, della pandemia di cornavirus (Gibuti è stato colpito dalla pandemia e dipende dall’assistenza straniera per l’acquisizione di vaccini). L’economia gibutina poi non è mai stata in grado di sfruttare appieno le ingenti risorse derivanti dall’affitto delle basi militari a potenze come Francia, Usa, Giappone, Italia, Cina, ecc. Così come non è riuscita a far crescere, intorno a queste basi, un commercio per la fornitura di beni e servizi. Attualmente il piccolo Stato dell’Africa orientale è indebitato per il 60% del suo Pil, secondo le autorità di Gibuti, e per il 112%, secondo il Fmi e la Banca mondiale.

Il conflitto, in corso da più di un anno nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia ha esacerbato questa situazione già delicata interrompendo la catena di approvvigionamento tra i due Paesi e portando a una riduzione drastica il commercio è diminuito.

Dopo la guerra tra Etiopia ed Eritrea negli anni Novanta, i porti eritrei di Massaua e Assab, tradizionale sbocco sul Mar Rosso per l’economia etiope, sono stati chiusi ad Addis Abeba. Gibuti, collegato all’Etiopia da una linea ferroviaria e da una strada camionabile, è così diventato la principale via commerciale per l’Etiopia. Ciò, ovviamente ha favorito anche l’economia gibutina. Ora, però, con l’economia etiope che langue e le truppe tigrine alle porte, anche Gibuti ne risente.

A settembre, indiscrezioni dei media hanno parlato di un possibile intervento militare di Gibuti per proteggere il confine comune con l’Etiopia. Ad allarmare il presidente Ismail Omar Guelleh era il ventilato progetto delle milizie tigrine di bloccare il collegamento ferroviario e la strada tra le due nazioni per soffocare Addis Abeba. Gibuti ha mobilitato le proprie truppe, ma non è intervenuta nella guerra civile. Il governo gibutino ha anche annunciato di voler impedire l’uso delle basi militari straniere sul proprio territorio per colpire l’Etiopia, suo alleato strategico.

Il colpo all’economia è stato duro e rischia di avere effetti ancora peggiori perché i tigrini ora controllano vaste aree delle regioni di Afar e Amhara. L’inviato dell’Unione africana nel Corno d’Africa Olusegun Obasanjo ha cercato di mediare una tregua tra Macallè e Addis Abeba. Anche il Segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, sta lavorando per riportare la stabilità nella martoriata regione.

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