Oggi, 25 maggio, si celebra la Giornata internazionale dell’Africa, una ricorrenza che vuole ricordare la fondazione dell’Organizzazione dell’unità africana, fondata appunto il 25 maggio 1963. Quell’organizzazione internazionale fu il primo tentativo del continente di promuovere l’unione e lo sviluppo economico-sociale dei rispettivi Paesi, difendendone l’indipendenza e l’integrità territoriale, eliminando ogni forma di colonialismo, in conformità ai principi dell’Onu e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Allora era un’Africa giovane che stava ancora vivendo la fase delle indipendenze, non è un caso che l’atto costitutivo sia stato firmato solo da una trentina di nazioni libere (le altre erano ancora dipendenti dalle vecchie potenze coloniali). Era un’Africa ancora suddivisa secondo linee geografiche e di influenza dettate dai colonialisti, ma idealista, che guardava alla democrazia e alla libertà come due fari sui quali indirizzare il proprio cammino. Ben presto l’Oua sbatté contro una realtà fatta di regimi dittatoriali, leader a vita, disorganizzazione, influenza dall’esterno (gli appetiti delle ex potenze coloniali non sono mai venuti meno così come l’influenza di Urss e Usa durante la Guerra Fredda) e, di fatto, si trova impreparata ad affrontare sul piano politico, militare ed economico le sfide poste prima dal mondo bipolare poi dalla globalizzazione.
Ed è per questo motivo che nel 2002 l’Oua passa alla storia e viene sostituita dall’Unione africana. L’Ua vuole essere qualcosa di diverso e più ambizioso. Vuole essere un’organizzazione internazionale forte e in grado di assumersi la responsabilità della soluzione dei molteplici problemi che hanno funestato la storia del continente.
Ed è per questo che negli atti costitutivi si parla dei principi di uguaglianza sovrana e interdipendenza tra gli Stati membri e si intende promuovere il rispetto per i principi democratici, i diritti umani, lo Stato di diritto e il buon governo. L’atto istitutivo riconosce poi all’Ua il diritto di intervento umanitario negli Stati membri in caso di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità. Un punto, quest’ultimo, fondamentale perché proprio di fronte alle gravi crisi umanitarie, come per esempio quella del Ruanda, della Rd Congo, della Somalia (solo per fare tre esempi) l’Oua si era trovata completamente spiazzata e impotente.
Un altro importante potere attribuito all’Ua è quello di adottare sanzioni nei confronti degli Stati membri che abbiano contravvenuto alle decisioni e alle politiche dell’organizzazione, nonché quello di sospendere dalla partecipazione alle attività dell’Ua i governi degli Stati membri che siano andati al potere con mezzi incostituzionali.
A 57 anni dalla fondazione dell’Oua e a 18 anni da quella dell’Ua qual bilancio può essere tracciato? Oggi come allora l’Africa, che conta 1,2 miliardi di abitanti, è ancora il continente più povero al mondo. Le sue immense ricchezze naturali non sono ancora state sfruttate per una crescita della società e delle economie locali. La povertà rurale, ancora molto diffusa, va a braccetto con flagelli sanitari, come la malaria, la febbre ebola o l’Hiv-Aids, ma anche con l’insorgere dei movimenti jihadisti, le tensioni etniche, i conflitti, i confini che ancora riflettono le zone di influenza coloniale. Di fronte a queste sfide le due organizzazioni si sono trovate a combattere con pochi mezzi e con mille difficoltà internazionali. Ciò non toglie che l’Unione africana rimanga la più importante assise africana. Saranno gli africani a doverla trasformare in un’organizzazione autorevole e in grado di assumersi realmente la responsabilità del continente. Le sfide sono molte. Il cammino è lungo. Ma le classi politiche, sempre più frutto di elezioni democratiche, hanno le capacità di diventare protagonisti del loro futuro. «Non immaginiamoci – ha detto Giovanni Carbone, docente di Scienza della Politica all’Università statale di Milano nel corso di uno degli ultimi workshop di Africa – un continente fatto di guerre e genti che le fuggono, perché, ferme restando una serie di situazioni in cui drammatiche violenze ci sono davvero, non corrisponde alla realtà dei fatti».
(Enrico Casale)