Le mine antiuomo sono i soldati perfetti. Non hanno freddo. Non hanno sonno. Non hanno fame. Eseguono le consegne per anni e anni dopo essere state sotterrate. Tra le armi convenzionali sono tra le più micidiali. E, soprattutto, quelle che fanno più vittime tra i civili. Oggi, 4 aprile, si celebra la Giornata internazionale contro le mine indetta dall’Onu. La mobilitazione delle coscienze del mondo riguarda anche le bombe cluster (piccole mine lanciate in quantità dagli aerei per colpire grandi aree), gli ieds (ordigni esplosivi improvvisati), le Valmara (mine saltanti di fabbricazione italiana), e i cosiddetti «Pappagalli verdi» (mine mascherate da giocattoli).
Nonostante siano trascorsi ormai 17 anni dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa (1999), la convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione, si stima che siano ancora 100 milioni le mine antiuomo disseminate nel mondo. Queste continuano a uccidere a distanza di decenni dal conflitto per le quali sono state collocate. Anche se lo scopo delle mine non è uccidere, ma mutilare. Nella perversa logica dei conflitti, chi ha perso una mano o una gamba, necessitando di cure e assistenza continua, danneggia il Paese nemico più di un morto. E ogni anno almeno 20mila persone vengono mutilate da questi ordigni nascosti.
Il Paese più colpito al mondo è l’Afghanistan, seguito da Colombia, Angola, Birmania, Pakistan, Siria, Cambogia e Mali. Tra i Paesi europei, il più infestato dalle mine è la Bosnia; collocate durante la guerra civile degli anni Novanta, ancora sono disseminate su oltre il 2% del territorio. La bonifica non sarà ultimata prima del 2025. In Africa, dopo la completa bonifica del Mozambico e quella avanzata in Angola, ordigni sono presenti in numerosi Paesi: Marocco (soprattutto nel Sahara occidentale dove «proteggono» il vallo costruito per contenere i miliziani del Polisario), al confine tra Eritrea ed Egitto, in Egitto, Sudan, Zimbabwe. Negli ultimi anni ne sono state «seminate» numerosissime in Mali per contrastare l’avanza dei miliziani jihadisti verso Sud.
«Odio questi ordigni, perché colpiscono ad anni di distanza dai conflitti persone innocenti, contadini che tornano a lavorare i campi e soprattutto i bambini, che sono quelli che corrono di più e sono curiosi – ha dichiarato all’Ansa il diplomatico delle Nazioni Unite Staffan de Mistura -. Le mine sono traditrici con la pioggia e il movimento del terreno si spostano e anche chi le ha posizionate non le ritrova più. Le più pericolose sono quelle di plastica, che sfuggono ai rilevatori del metallo, ma non al fiuto addestrato dei cani, amici dell’uomo anche per lo sminamento. E ai topi che, dopo un attento addestramento, diventano efficientissimi sminatori.