Le donne sono state protagoniste delle Primavere arabe. Hanno lottato per affermare i loro diritti. E continuano a farlo perché il processo rivoluzionario è lungo e non è ancora terminato.
Giuliana Sgrena, giornalista, scrittrice, attivista politica, analizza così il ruolo svolto dalle donne nelle rivolte che hanno toccato Medio Oriente e Nord Africa negli ultimi quattro anni. Un’analisi che ha approfondito nel libro «Rivoluzioni violate» (Il Saggiatore, 2014, pp. 219, euro 12,75). Ne ha parlato in un incontro organizzato da Cgil, Cisl e Uil di Monza e Brianza il 9 aprile.
«Inizialmente – ha spiegato la Sgrena -, le Primavere arabe non erano guidate da partiti o da movimenti religiosi. Le uniche bandiere che sventolavano erano quelle nazionali. Uomini e donne partecipavano fianco a fianco alle iniziative politiche». Le donne sapevano e sanno tuttora che quei movimenti potevano avere un’importanza vitale per la loro emancipazione. Da quei movimenti poteva e può nascere qualcosa di positivo per la loro emancipazione. «La lotta è ancora lunga – ha continuato la Sgrena – e non dobbiamo scoraggiarci. Ma non dobbiamo neppure pensare che la lotta delle donne nasca dal nulla. Da decenni nel Nord Africa e in Medio Oriente esistono movimenti femministi. In Egitto, per esempio, una prima organizzazione femminista è nata agli inizi del Novecento. C’è quindi un humus fertile nel quale le donne sono cresciute e al quale attingono. Certo, il loro femminismo è diverso dal nostro e si mescola con la loro cultura. Ma ciò non significa che il nostro sia migliore».
Per le donne nordafricane e mediorientali quindi c’è un background culturale che le ha spinte in piazza. Ma c’è anche una necessità pratica: essere protagoniste per evitare che le vittorie ottenute sul campo vengano loro «scippate». «Durante la lotta per l’indipendenza dell’Algeria – ha osservato la Sgrena -, le donne furono in prima linea contro i francesi. Speravano che il frutto del loro impegno fosse il riconoscimento di maggiori diritti e di una parità effettiva con l’uomo. La classe politica che prese il potere, però, le relegò a un ruolo di secondo piano. È per questo motivo che il loro impegno è continuo».