Questa volta non c’è ombra di dubbio: Umaro El Mokhtar Sissoco Embaló è, con tutti i crismi, il nuovo presidente della Repubblica di Guinea-Bissau. Le urne lo avevano decretato con chiarezza, al ballottaggio del 29 dicembre, ma lo sfidante Domingos Simões Pereira ha fatto ricorso alla Commissione elettorale indipendente e poi alla Corte suprema: quest’ultima ieri ha confermato Sissoco Embaló alla massima carica dello Stato.
Intervistato alla vigilia del verdetto della Corte suprema dal canale televisivo France 24, Embaló, 47 anni, detto “il generale del popolo” – “generale” in riferimento ai suoi trascorsi, che gli fecero scalare in un battibaleno la gerarchia militare – e primo ministro per poco più di un anno sotto la presidenza di José Mário Vaz, si è detto determinato a cancellare la nomea (peraltro ben fondata) di narcostato che da troppi anni pesa sul suo Paese. Si è spinto ad affermare: «Con il 29 dicembre, il traffico di droga è finito». E, in un altro passaggio: «La Repubblica delle Banane è finita. Adesso io incarno una nuova speranza». Inoltre, in riferimento agli avversari: «Io sono per la concordia nazionale, niente vendette».
Rimane la sfida politica. Al Parlamento (quello attuale è stato eletto nel marzo del 2019) va la scelta del primo ministro; al capo dello Stato, di ratificarla (o meno). Detenendo il Paigc – lo storico partito dell’indipendenza, quello dell’avversario Simões Pereira – la maggioranza relativa (oltre il 35%), e il Madem G-15 di Embaló poco più del 21%, non sarà evidente esprimere un capo del governo omogeneo al neopresidente. Si rischia una difficile coabitazione.
Embaló si mostra tuttavia molto confidente, contando sulle alleanze che si erano saldate in vista del ballottaggio e che avevano portato lui, partito come sfavorito, fino al sorprendente risultato.
Dal punto di vista delle relazioni interafricane, «non ho molti amici sul continente – ha ammesso qualche giorno dopo essere entrato in carica –, ma che quelli che ho sono ottimi». La sua prima uscita internazionale è stata a Dakar. Per lui il presidente Macky Sall è un «fratello»: è stato accolto per nove anni dalla sua famiglia quando fuggì la Guinea-Bissau in preda alla guerra civile. Invece Denis Sassou Nguesso, il presidente di lungo corso del Congo, è «mio padre»: tutti sanno, ha affermato, che «io sono un figlio adottivo del presidente Sassou. Il minimo che potessi fare era venire a inchinarmi davanti a mio padre dopo la mia elezione, per ricevere la sua benedizione e soprattutto i suoi consigli». Un’altra delle sue prime visite di Stato lo ha portato ad Abuja, dove ha incontrato il presidente nigeriano Muhammadu Buhari.
Rapporti difficili, invece, con Alpha Condé, il capo dello Stato guineano, che si era apertamente opposto all’elezione di Embaló. Due le possibili piste di lettura per questa inimicizia: da un lato, la mediazione, giudicata squilibrata a favore del Paigc, che a nome dell’Ecowas, la comunità regionale, Alpha Condé condusse durante una delle crisi di Bissau; dall’altro, il fatto che i Peul in campagna elettorale si sarebbero schierati per Embaló, e «a Conakry la diaspora peul è mobilitata dietro l’opposizione» a Condé – questo secondo Vincent Foucher, ricercatore specializzato sull’area.
«Oggi però il presidente Alpha Condé e io siamo dei colleghi – rassicura Umaro Sissoco Embaló –. La campagna è una cosa… ma oggi è diverso. Siamo vicini immediati, ci sono cose che ci legano. Il suo sentimento personale o il mio sentimento personale nei suoi confronti non hanno importanza. Al di sopra di noi ci sono i due Stati che noi rappresentiamo».