Negli utlimi giorni sono stati registrati vari attacchi ai giornalisti in Guinea Bissau e la situazione è sempre più tesa. Adão Ramalho, giornalista guineano di Rádio Capital Fm, è stato aggredito la scorsa settimana per le strade della capitale, mentre era impegnato a coprire la notizia del ritorno nel Paese del leader di opposizione Domingo Simões Pereira. Pochi giorni prima era stato rapito e picchiato il blogger António Aly Silva. AfricaRivista ne ha parlato con António Nhaga, presidente dell’Ordine dei Giornalisti.
Quali leggi tutelano la libertà di stampa e l’esercizio della professione giornalistica in Guinea Bissau?
“L’unico strumento esistente è la legge sulla stampa emanata nel 1992, in coincidenza con l’apertura del Paese al multipartitismo, uno strumento che nasceva con una forte propensione a tutelare in realtà l’allora presidente della Repubblica, il generale João Bernardo Vieira. Leggendo attentamente questa legge si capisce che, anche se un giornalista ha documenti che dimostrano il coinvolgimento del presidente in un fatto di corruzione, per esempio, il capo dello Stato non sarà comunque condannato”.
È con questa legge che i giornalisti guineani lavorano ancora oggi?
“Sì. E i successivi presidenti non hanno mai accettato di rivederla per aggiornarla e dotarla finalmente di strumenti specifici in grado di tutelare i giornalisti nell’esercizio della loro attività professionale. È questa la ragione fondamentale per cui la classe politica nazionale e la presidenza della Repubblica in particolare non si fanno problemi a minacciare i giornalisti: sanno che per questi ultimi non c’è protezione. Ed è ancora per questo che l’Ordine dei giornalisti della Guinea Bissau considera urgente e imperativo rivedere questa legge”.
Non c’è dunque un problema specifico con l’attuale presidente Umaro Sissoco Embaló?
“No. Il problema precede Sissoco Embaló. Lui lo sta perpetuando e aggravando. È dal 2000 che i presidenti della Repubblica hanno iniziato a chiudere i media, minacciando e arrestando i giornalisti senza ragioni plausibili. Per esempio, nel 2002 il defunto presidente Koumba Yala ha licenziato due giornalisti della televisione guineana, Issuf Queta e Paula Melo. Quest’ultima era incinta. Nel 2003, lo stesso presidente ha ordinato la chiusura di Radio Bombolom Fm. Sempre all’epoca del presidente José Mário Vaz, nel settembre 2016, il giornalista di Rádio Galásio de Pindjiguiti Ismael Barri è stato picchiato al casello di Safim dalla polizia dell’ordine pubblico. Nel 2017 l’attuale presidente, che allora era primo ministro, ha ordinato la chiusura della Radio televisiva portoghese (Rtp-Africa)”.
Ma oggi non si sta delineando una situazione particolarmente difficile?
“A mio avviso, il problema della minacce e delle aggressioni ai giornalisti e della chiusura dei media è sistemico. Ciò non toglie che adesso stiamo vivendo una fase molto critica e viviamo in un clima di terrore. Gli ultimi eventi, la distruzione delle apparecchiature di Radio Capital Fm e le recenti aggressioni a Adão Ramalho e António Aly Silva, sono stati particolarmente inquietanti”.
Quali sono le principali richieste dell’Ordine dei Giornalisti?
“Noi vorremmo che il governo approvasse il nostro Modelo de Negócio para o Jornalismo, ossia uno strumento finanziario che abbiamo messo a punto per garantire autonomia economica ai giornalisti e che il presidente promulgasse la legge della Comissão da Carteira Profissional de Jornalistas, già approvata dal consiglio dei ministri, che verrebbe a tutelare l’esercizio della professione giornalistica. Questi due strumenti, a mio avviso, sono fondamentali per assicurare indipendenza economica e tecnologica a media e giornalisti in Guinea Bissau”.
Quali sono i temi su cui oggi è più difficile scrivere e fare informazione?
“Ci sono temi davvero scottanti che i giornalisti hanno molta paura di affrontare: le questioni legate al traffico di droga, i crimini di sangue, la corruzione e le questioni relative ai leader militari e militari. Sono temi di cui si parla per le strade di Bissau, Batata, Gabu, Cantchungo, Bolama, Buba e Tombali, ma che non compaiono sulle pagine della nostra stampa”.
(Stefania Ragusa)