Guinea: diritti umani e fine della transizione, quale futuro dal 2025?

di claudia

Di Oumar Barry –  Centro studi AMIStaDeS APS

La Guinea sta attraversando una transizione politica turbolenta dopo il colpo di Stato del 5 settembre 2021, con al comando il generale Mamady Doumbouya. Nonostante le promesse di ripristinare l’ordine costituzionale e garantire le riforme democratiche, la giunta ha intrapreso un percorso sempre più autoritario. La scadenza della transizione, fissata per dicembre 2024, è un punto cruciale per la Guinea, con il rischio che la giunta possa minare la propria legittimità e perdere il sostegno popolare.

Il colpo di stato del 2021 in Guinea è stato il risultato di una serie di eventi e tensioni politiche accumulate nel corso degli anni. L’ex presidente Alpha Condé, in carica dal 2010, aveva cercato di modificare la Costituzione per garantirsi un terzo mandato, suscitando proteste e disordini. La crisi economica, la corruzione e la gestione inefficace del paese hanno ulteriormente alimentato il malcontento. Il colpo di stato è stato visto come una risposta diretta a queste condizioni.

La gestione della transizione politica in Guinea sotto il generale Mamadi Doumbouya è stata inizialmente accolta con entusiasmo dalla popolazione e dai leader politici, con la promessa di un ritorno all’ordine costituzionale e di riforme significative. Tuttavia, con il passare del tempo, l’euforia iniziale si è trasformata in delusione e preoccupazione. Nonostante le promesse di un ritorno all’ordine costituzionale, il Comitato Nazionale per la Riconciliazione e lo Sviluppo (CNRD) e i suoi rappresentanti civili si sono progressivamente allontanati da tale obiettivo. La giunta ha avviato un processo di centralizzazione del potere, che si è trasformato in un regime sempre più autoritario. La Carta di transizione, che avrebbe dovuto tracciare la via per il ritorno alla democrazia, e il dialogo inter-guineano che avrebbe dovuto invece coinvolgere i leader politici, rappresentanti della società civile e la giunta militare, non hanno realmente beneficiato della partecipazione e del sostegno dei principali partiti politici e delle entità della società guineana.

La giunta al potere in Guinea governa unilateralmente, ignorando le richieste di dialogo inclusivo provenienti dall’opposizione, dalla società civile e da leader internazionali, tra cui l’ECOWAS. Nonostante le pressioni, i principali partiti politici e le organizzazioni civili restano esclusi dai processi decisionali. Questo approccio alimenta il malcontento popolare e solleva timori sulla stabilità del paese, ostacolando anche la redazione di una nuova costituzione condivisa.

Il capo della giunta adotta un approccio che può essere definito nichilista, monopolizzando i poteri di nomina e di licenziamento nella pubblica amministrazione. Questo comportamento riflette una strategia di controllo totale, dove qualsiasi forma di opposizione o dissenso all’interno del governo è eliminata. La promozione di una cultura del culto della personalità serve a consolidare il potere personale, spesso giustificata da una presunta rifondazione dello Stato. Tuttavia, questa rifondazione avviene senza un mandato popolare e in violazione del principio di continuità dello Stato.

Le forze di difesa e sicurezza guineane rispondono con brutalità alle richieste di cambiamento dei cittadini, violando i diritti garantiti dalla Carta di transizione e dai trattati internazionali. Secondo ONG per i diritti umani, in tre anni di governo della giunta si registrano almeno 48 morti e oltre 100 feriti. La repressione colpisce attivisti pro-democrazia come i leader del del Fronte Nazionale per la Difesa della Costituzione (FNDC), tra cui il coordinatore nazionale Oumar Sylla ( Foniké Menguè) e il responsabile della mobilitazione Mamadou Billo Bah, arrestati dai militari e tuttora scomparsi.

Anche la stampa è nel mirino: il giornalista Habib Marouane Camara è stato rapito il 3 dicembre 2024 a Conakry da uomini in uniforme militare. La procura, che ha appreso del caso dai media, ha aperto un’indagine per arresto arbitrario e rapimento, denunciando l’assenza di motivazioni legali. Il clima di violenza alimenta timori per la libertà di espressione e la sicurezza dei giornalisti.

Anche lo spazio per il dibattito politico si è notevolmente ridotto, e chi esprime opinioni contrarie alla narrazione ufficiale vive sotto costante minaccia. La militarizzazione di alcune parti della capitale Conakry e di altre città contribuisce all’esilio di attori politici e della società civile, riducendo ulteriormente la libertà di espressione e la capacità di contestare apertamente le decisioni del regime. La strumentalizzazione del sistema giudiziario, in particolare del Tribunale per la Repressione dei Reati Economici e Finanziari (CRIEF), è un altro aspetto preoccupante. Questo tribunale, sotto la supervisione del Ministro della Giustizia, sembra prendere sistematicamente di mira gli avversari politici del regime, creando una netta differenza di trattamento tra chi si oppone e chi è solidale con la giunta. È il caso di Cellou Dalein Diallo, presidente dell’Unione delle Forze Democratiche di Guinea (UFDG), e Sidya Touré, ex primo ministro e leader dell’Unione delle Forze Repubblicane (UFR). Entrambi sono stati indagati dal CRIEF in quella che molti osservatori interpretano come una strategia per indebolire gli avversari della giunta e limitare la competizione politica nel paese.

Foto di Oumar Barry

Le indagini sui membri del precedente governo restano bloccate da anni senza prove solide, contravvenendo al principio secondo cui “la libertà è la regola e la detenzione l’eccezione”. Detenzioni prolungate e accuse basate su prove fragili colpiscono selettivamente oppositori politici, alimentando un clima di paura e repressione. Anche questa volta, un uso strumentale della giustizia mina la fiducia nel sistema giudiziario e rafforza il controllo del regime sugli avversari.

Il mese di dicembre 2024 rappresenta un momento cruciale per la Guinea, segnando la fine della transizione democratica. Il generale Doumbouya ha promesso di non candidarsi alle prossime elezioni, basandosi sulla tradizione culturale guineana, in cui il rispetto per la parola data è fondamentale. Questo valore è così sacro che la sua violazione porta immediatamente alla perdita di prestigio e reputazione di un individuo. La fiducia, l’integrità e l’onore di una persona sono valutati in base alla sua capacità di mantenere le promesse. I guineani hanno dato la loro credibilità e fiducia a Doumbouya, che ha preso questo impegno liberamente, senza costrizioni, per evitare gli errori del passato, come quelli commessi durante la transizione guidata dal capitano Dadis Camara nel 2009.

Recentemente sono emersi segnali preoccupanti in Guinea. I movimenti di sostegno, vietati dalla giunta, stanno riemergendo. Questo fenomeno può essere attribuito a due principali motivi: la paura e il narcisismo. Funzionari e cittadini, per timore di ritorsioni o per desiderio di ottenere favori, si impegnano in atti di demagogia, contribuendo al culto della personalità del leader. Le strade di Conakry e delle altre città del Paese sono invase da effigi del presidente della transizione, un chiaro segno di questa tendenza. I media statali, inoltre, trasmettono costantemente canzoni e lodi dedicate a Mamadi Doumbouya, rafforzando ulteriormente questo culto. Questo tipo di propaganda sembra ricercare un’immagine di infallibilità e indispensabilità. Analizzando questi eventi, è evidente che la rinascita di questi movimenti possono avere conseguenze significative per la stabilità politica e sociale del Paese. Da un lato, possono portare a un rafforzamento temporaneo del potere del leader, ma dall’altro, rischiano di alimentare il malcontento e la resistenza tra coloro che si oppongono a tali pratiche. La storia ha dimostrato che i regimi basati sul culto della personalità spesso finiscono per crollare sotto il peso delle loro stesse contraddizioni, oltre che per pressioni interne ed esterne.

Se da un lato è oggi essenziale che il governo di transizione rispetti la parola data ai cittadini guineani, cioè di non prolungare il suo mandato oltre il 31 dicembre 2024, dall’altro la giunta ha recentemente affermato che le elezioni si terranno nel 2025. ll CNRD dovrebbe quindi rispettare l’impegno di trasferire il potere ai civili entro il prossimo anno, in modo da uscire di scena. Questo permetterà loro di mantenere l’onore davanti alla popolazione, altrimenti rischierebbero di finire come l’ex presidente. La storia ha dimostrato che coloro che tradiscono il loro giuramento, finiscono per essere sconfitti e umiliati. Se Doumbouya decidesse di rimanere oltre il termine limite, o addirittura proporre la sua candidatura, rischierebbe di perdere questo onore, nonché il rispetto e la fiducia delle persone. Inoltre, potrebbe lasciare una pesante eredità alla sua famiglia, poiché sarebbe ricordato come l’ex presidente che non ha mantenuto la sua parola.

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