Guinea equatoriale, la strana vicenda di due italiani in carcere dal 2015

di Enrico Casale
Fabio e Filippo Galassi

Da due anni, Fabio e Filippo Galassi, padre e figlio di 63 e 25 anni, sono in carcere in Guinea equatoriale. Sono stati condannati rispettivamente a 33 e a 21 anni per accuse tutte da dimostrare. Il caso è stato sollevato da una recente inchiesta del settimanale «L’Espresso» che ha sollevato il coperchio su una vicenda piena di lati oscuri e che vede i due italiani languire nelle carceri di Malabo.

«Sono più di due anni che non vedo mio figlio. Senza una soluzione dovrò aspettarne altri diciannove prima di poterlo riabbracciare. È orribile, Filippo deve tornare a casa», ha dichiarato al periodico Carla Strippoli, madre di Filippo ed ex moglie di Fabio.

La vicenda inizia alcuni anni fa. Fabio lavora per il governo guineano, poi nel dicembre 2010, viene assunto dall’impresa di Annamaria Moro, di cui diventa compagno di vita e braccio destro negli affari. Allora, nel giro di poche settimane, anche il figlio Filippo lo raggiunge. La Guinea equatoriale però non è un Paese semplice. Ricchissima di petrolio, è governata dal 1979 da Teodoro Obiang Nguema, un presidente-dittatore che ha instaurato un regime cleptocratico. Corruzione e familismo sono le costanti dell’azione di governo.

Annamaria Moro sembra però muoversi bene in questo ambiente. Tanto che dà vita alla General Work, impresa del settore edile, di cui diventa socia insieme alla famiglia del presidente Obiang. Fabio e Filippo lavorano proprio per questa azienda come dipendenti ma, nella primavera del 2015, entrambi vengono arrestati con l’accusa di voler fuggire dal Paese con una valigia piena di soldi. Dentro le valigie però non ci sono contanti, ma solo effetti personali e tremila euro. I due italiani sono condotti nel carcere di Bata, dove trascorrono due mesi. Poi un magistrato li accusa formalmente di bancarotta, appropriazione indebita, sottrazione fraudolenta di beni, corruzione, truffa e riciclaggio di denaro. Dopo sei mesi di processo, il 18 gennaio 2016, entrambi vengono condannati dalla Corte suprema guineana.

«Mio figlio e il mio ex compagno erano due semplici dipendenti, non avevano nessuna quota dell’azienda – ha dichiarato ora la Strippoli -. Sono entrambi vittime sacrificali, caduti in un gioco più grande di loro». Ora Carla Strippoli sta cercando di attirare i riflettori dei media e non solo sul caso. «Abbiamo scritto all’ambasciatore guineano in Italia e presso la Santa Sede. Abbiamo scritto alle ambasciate spagnole, al ministero degli Esteri, persino all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Federica Mogherini. Ma in due anni tutto è rimasto immobile, perché? Un ragazzo di 25 anni dovrà passare altri 19 anni in galera senza aver commesso alcun reato. Perché a nessuno interessa fare giustizia?».

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