Siamo andati sul set di un film ispirato a un presunto caso di cannibalismo accaduto nel Sud-est dell’Uganda. Ma davvero in Africa ci sono persone, se non interi popoli, dediti al consumo di carne umana? Andiamo a districarci tra leggende e realtà
di Pierre Yambuya – foto di Frederic Noy / Panos / Luz
Andrew e John maneggiano la gamba mozzata senza farsi impressionare. Con cura chirurgica stanno intervenendo nel punto dove il machete ha tranciato l’arto sanguinante. La scena è raccapricciante. Solo avvicinandosi ci si accorge dell’equivoco: la gamba è di plastica. «L’abbiamo segata da un vecchio manichino – spiegano i due –. La stiamo riempiendo con pezzi di carne di capra, appena macellata, per renderla uguale a una vera. Così gli zombie avranno qualcosa di buono da mettere sotto i denti», sghignazzano.
Morti viventi
Benvenuti sul set di Eaten Alive (Mangiati vivi), film dell’orrore diretto da Isaac Nabwana, anima indiscussa di Wakaliwood, la Hollywood d’Uganda, una pirotecnica industria cinematografica che spopola nel cuore del continente (Africa 2/2019). La Ramon Studio Production, fondata dallo stesso Nabwana in un sobborgo della capitale Kampala, in genere realizza film d’azione scanditi da caotici scontri a fuoco, inseguimenti al cardiopalmo e combattimenti a colpi di kung fu. Questa volta si tratta di una sceneggiatura horror ispirata a un (presunto) caso di cannibalismo avvenuto (sembra) nel Sud-est dell’Uganda. «Fatti dannatamente veri», assicura il regista, che ricorda: «Nell’estate del 2014 aveva suscitato clamore la notizia dell’arresto di alcune persone di etnia kooki accusate di avere ucciso e mangiato dei rifugiati che avevano cercato rifugio nel distretto di Rakai». Il film – caratterizzato da atmosfere cupe, riprese notturne e scene splatter – è ambientato in un villaggio nella foresta popolato da “morti viventi” ghiotti di carne umana. Finanziata con una campagna di crowdfunding, la pellicola dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi. Nel cast ci sono amici d’infanzia e vicini di casa di Nabwana, trasformati in spaventosi zombie da abili truccatori e costumisti.
Cinema dark
Non è certo la prima volta che storie di vero cannibalismo approdano sul grande schermo. I sopravvissuti delle Ande (1976) e Alive (1993) hanno raccontato forse l’episodio più famoso e sconvolgente della storia: quello della squadra uruguaiana di rugby schiantatasi con l’aereo nel 1972 sulla cordigliera delle Ande. I soccorsi arrivarono solo due mesi più tardi, mentre i sopravvissuti finirono per cibarsi dei cadaveri dei loro compagni. L’insaziabile (1999) racconta in chiave cinematografica gli episodi che si verificarono nella seconda metà dell’Ottocento durante le spedizioni dei pionieri in California. Evilenko (2004) narra la vicenda del “macellaio di Rostov”, Andrej Romanovič Čikatilo, il serial killer che terrorizzò l’Unione Sovietica tra il 1978 e il 1990. Cannibal (2006) rievoca il celebre caso di Armin Meiwes, noto alle cronache come il “Cannibale di Rohtenburg”, che nel 2001 uccise e divorò una vittima volontaria, trovata grazie a un annuncio sul web.
«Era ora che anche l’Africa avesse il suo cannibal movie – sorride il regista –. I fatti reali a cui ispirarsi purtroppo non mancano».
Atrocità di guerra
L’accusa (mai provata dagli storici) di cannibalismo è stata rivolta nel passato a sanguinari dittatori africani: Idi Amin (Uganda), Bokassa (Centrafrica), Mobutu (Zaire)… Più di recente, giornali e siti internet si sono occupati del processo celebrato alla Corte penale internazionale contro l’ugandese Dominic Ongwen, ex comandante militare del gruppo terroristico Lord’s Resistance Army: accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, l’uomo avrebbe tra l’altro «ordinato ai suoi uomini di uccidere, cucinare e mangiare decine di civili».
Imputazioni simili furono mosse, sempre all’Aia, contro Charles Taylor, ex presidente e signore della guerra in Liberia: alla fine degli anni Novanta creò e appoggiò i ribelli del Ruf in Sierra Leone, resisi responsabili di numerose atrocità, inclusi diversi episodi di antropofagia. Secondo la commissione d’inchiesta sulla guerra civile, i miliziani – sotto l’effetto di alcol e droghe – mutilavano e mangiavano cadaveri, nella convinzione di acquisire la forza e le virtù delle loro vittime. Nel 2003, un rapporto della Missione Onu nella Repubblica democratica del Congo denunciò diversi casi perpetrati da ribelli armati ai danni dei pigmei delle foreste dell’Ituri: il dossier documenta, coi nomi di vittime e testimoni, fatti abominevoli e circostanziati da ascriversi ai capitoli più bui di un conflitto che si trascina da troppo tempo nella regione.
Racconti raccapriccianti
La stampa internazionale, non solo quella scandalistica, ha riferito altri episodi di cannibalismo in Africa. Nel 2017, in un villaggio del KwaZulu-Natal, in Sudafrica, fu arrestato un anziano guaritore reo confesso dell’omicidio di un giovane scomparso giorni prima: il suo corpo fu ritrovato a brandelli, le parti mancanti erano state inghiottite dal “guaritore” per motivi rituali. Notizie di «uccisioni e smembramenti di persone in Nigeria finalizzati alla realizzazione di pozioni magiche e cerimonie segrete» sono state divulgate da vari giornali nazionali (The Punch, Daily Trust, Vanguard e The Guardian), avvalorate da report della polizia e da ricerche accademiche (Ambrose Alli University di Ekpoma e Università di Benin City).
In Africa orientale le superstizioni popolari alimentano la strage degli albini (i cui corpi vengono smembrati per preparare amuleti contro il malocchio o pozioni per curare malattie): negli ultimi anni si sono registrati decine di casi di assassini e di mutilazioni per riti di magia nera in Tanzania, Burundi e Malawi.
Talvolta vengono additati come “cannibali” interi popoli. Se in Kenya corre la diceria che vuole i Bukusu dediti alla pratica antropofaga, in Uganda riti di sangue e cannibalismo vengono imputati agli Acioli. Leggende popolari che paiono risalire al periodo coloniale. Non c’è da stupirsi: i taccuini di viaggio dei primi esploratori europei in Africa pullulano di selvaggi tagliateste. Samuel White Baker, per esempio, riferisce che «i Makkarika divorano i bambini dei villaggi a ovest del Nilo Bianco». Racconti di questo tenore hanno alimentato pregiudizi terrificanti. Non a caso, in svariati film e romanzi d’avventura ambientati nel continente è onnipresente il pentolone che bolle al centro del villaggio: destinato a cucinare il malcapitato visitatore straniero.
Leggende ed equivoci
Studiosi e antropologi mettono in guardia: le “tribù cannibali d’Africa” sono frutto della fantasia di osservatori miopi e razzisti. E i rari episodi documentati di antropofagia sono da rubricare tra gli abominevoli crimini di guerra o riconducibili a efferati killer affetti da patologie psichiatriche. Tuttavia nel web riecheggiano incontrollate fake news di fantomatici episodi di cannibalismo. C’è cascata persino la Bbc, che di recente ha dovuto scusarsi per la notizia, poi rivelatasi falsa, di un ristorante nigeriano specializzato in piatti di carne umana alla brace. Non solo. Pochi mesi fa diversi siti di (mala)informazione hanno pubblicato il video di un presunto atto di cannibalismo in Nigeria, nel quale si vedeva un uomo intento a cucinare i pezzi di un corpo umano all’interno di un pentolone. Commentatori e opinionisti si sono scatenati con tweet e post anti-immigrati, anche in Italia. Salvo poi a fare un’imbarazzante retromarcia quando si è appreso che si trattava di una bufala. L’uomo intento a “cucinare” era un addetto agli effetti speciali di Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana. «I nostri film horror sono innocui», ha commentato, amaro, l’interessato quando ha saputo dell’equivoco. «Ma certi europei quando parlano degli africani fanno davvero paura».
Questo articolo è uscito sul numero 1/2022 della Rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l‘eshop