I rifugiati che rientrano in Somalia dal campo di Dadaab non lo fanno in modo volontario: lasciano il Kenya solo perché temono che le autorità di Nairobi, prima o poi, li espellano con la forza. A denunciarlo è Human Rights Watch in un comunicato rilanciato dall’Agenzia Fides. Secondo i responsabili dell’Ong, si violerebbe così palesemente l’intesa siglata nel novembre 2013 da Kenya, Somalia e Nazioni Unite. In essa è previsto che i somali possano rimpatriare ma solo «volontariamente» e a essi dev’essere assicurato che il rimpatrio avvenga in condizioni di sicurezza e in modo dignitoso.
«Secondo la pratica internazionale sui rifugiati – afferma un comunicato di Human Rights Watch -, il rimpatrio è considerato volontario solo se i rifugiati possono scegliere autenticamente di tornare e sono completamente informati sulle condizioni del loro Paese natale». Nel maggio 2016, il governo di Nairobi ha però annunciato un piano per accelerare il rimpatrio dei somali e per chiudere il campo di Dadaab entro novembre. Dietro questa scelta si nasconde la paura delle autorità keniane del diffondersi del terrorismo islamico all’interno del campo e da esso nel resto del Paese. Il che sarebbe intollerabile per il Governo soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali. I vescovi keniani in diverse occasioni hanno criticato questa decisione.
Dall’inizio della campagna di rimpatrio e fino a metà agosto circa 24mila rifugiati somali sono tornati nel loro Paese da Dadaab. Di questi, 18.110 sono ritornati nel 2016, diecimila dopo l’annuncio della chiusura del campo. Le operazioni di rimpatrio sono state sospese il 29 agosto, quando le autorità del Jubaland, la regione somala al confine con il Kenya dove gran parte dei rifugiati si sta dirigendo, hanno dichiarato che non sono in grado di assistere altri rifugiati di ritorno.