«La storia dei negri d’America è la storia dell’America. E non è una bella storia». Questa frase di James Baldwin, tratta dal suo manoscritto incompleto e mai pubblicato Remember This House, purtroppo è ancora di estrema attualità.
Il filmato dell’arresto di George Perry Floyd, nero americano, avvenuto il 25 maggio nella città di Minneapolis, in cui l’agente di polizia Derek Chauvin tiene immobilizzato Floyd mantenendo per molti minuti il suo ginocchio sul collo fino a soffocarlo nonostante le implorazioni e i lamenti, ha avuto vasta diffusione nei media internazionali e ha portato a moltissime manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere e i frequenti comportamenti razzisti da parte della polizia.
Per tornare a James Baldwin, il regista haitiano Raoul Peck ha acquisito i diritti degli scritti del grande attivista/pensatore/scrittore nato ad Harlem nel 1924 e morto in Francia trent’anni fa, per realizzarne nel 2016 un documentario “testamentario” sulla secolare questione dei neri. Intrecciando materiali d’archivio al proprio girato sullo sfondo dell’inedito testo letto da Samuel L. Jackson, Peck ha saputo creare un’opera folgorante sulla filologia dell’identità del diverso e dei conflitti che ne derivano. Il film, disponibile oggi in rete, è stato candidato agli Oscar, ha accumulato moltissimi premi e ha registrato incassi da record.
Il materiale selezionato e magistralmente montato dal regista, che include apparizioni di Baldwin in diversi tv show americani e alcune sue lezioni universitarie, si arricchisce di sequenze cinematografiche di diversi film che hanno forgiato l’immaginario collettivo dell’identità dei “NEGRI”, travisata dalla Storia raccontata dai vincitori. Perché il potere è sempre stato BIANCO. Le tre figure emblematiche dei grandi leader Medgar Evers, Malcom X, e Martin Luther King servono da fili conduttori cronografici ed emblematici poiché per lo stesso fine combatterono con metodi differenti.
Il film di Peck ci induce a una profonda riflessione sul periodo attuale: impressionante è ancora la paura del diverso e notare come sembriamo aver smarrito lo spirito dell’accoglienza, della fratellanza. D’altronde i film del grandissimo regista inducono sempre a una riflessione profonda. Con lui ho a lungo discusso della “nostra” Africa. Figlio di diplomatici, cresciuto in Congo, Paese a cui è rimasto sempre legato, da adulto Raoul Peck per molti anni è rimasto in esilio volontario, lontano dalla dittatura instaurata nel suo Paese. Rientrato ad Haiti dopo la fine del regime, dal 1995 al 1997 ha svolto l’incarico di ministro della Cultura.
Il suo film L’uomo sulla banchina è il primo film caraibico della storia presentato al Festival di Cannes, ma Peck aveva già raggiunto la notorietà internazionale con il film Lumumba. Suo grande pregio saper trasmettere l’impegno politico attraverso il linguaggio della poesia.
(Annamaria Gallone)