di Mario Ghirardi
I discussi CPR, acronimo di ‘Centri di permanenza per i rimpatri’, pullulano di cittadini tunisini. Nel 2021 ne sono infatti da qui transitati 2805, che corrispondono ad oltre la metà del totale degli ‘ospiti’ (5147) di queste strutture, dette di detenzione amministrativa, ovvero in altre parole centri di detenzione per migranti in attesa di rimpatrio. E a questo proposito sono tunisini anche coloro che sono stati i migranti più rimpatriati in assoluto nell’anno, ovvero 1818, il 72 per cento del totale. Numeri che sono analoghi a quelli del 2020.
La notazione che questo fenomeno sia tutto sommato anomalo la forniscono anche i ricercatori dell’Idos, che hanno da poche settimane pubblicato l’ormai tradizionale e annuale ‘Dossier statistico sull’immigrazione’ di stranieri in Italia. Sospetto tanto più fondato se quei ricercatori, abitualmente per mestiere più attenti ai numeri che ai giudizi, si sbilanciano in commenti molto critici al proposito. L’ultima Commissione parlamentare creata per effettuare un’indagine sul tema della detenzione amministrativa risale addirittura al 2007: già 15 anni fa denunciava che fosse necessario procedere allo svuotamento dei CPR. In quell’anno esistevano 14 strutture di quel tipo con capienza totale di 1940 posti. Dieci anni dopo si erano ridotte a 5 per 486 posti.
Oggi invece risultano attivi, grazie ad un decreto legge del 2017, 10 CPR, situati a Milano, Torino, Roma, Macomer, Brindisi, Bari, Trapani, Caltanissetta, San Gervasio e Gradisca d’Isonzo, con capienza complessiva di 1100 posti. Sono in generale giudicati carenti nel rispettare le normative in campo sanitario, sia in merito alle visite di idoneità al trattenimento e sia all’assistenza psichiatrica. A questo proposito Federica Borlizzi, dell’Università di RomaTre e membro di ‘Coalizione Italiana libertà e diritti civili’, si spinge a scrivere che in molti di questi centri “in percentuali elevatissime vengono somministrati spesso senza ricetta psicofarmaci e tranquillanti con il concreto rischio di piegare l’intervento medico e farmacologico a controverse necessità di disciplinamento dei trattenuti, compromettendone il diritto alla salute”. E aggiunge che molte strutture non sembrano neanche rispettare gli standard europei con celle di 20 mq che ospitano fino a 7 persone, celle dotate di servizi igienici privi di porte, con i detenuti che dormono dunque letteralmente accanto al bagno alla turca con potenziale “trattamento inumano o degradante”.
Per completare la panoramica sui migranti transitati lo scorso 2021 nei CPR, dopo i citati tunisini, si può notare che, ad eccezione degli albanesi, gli altri gruppi più numerosi sono tutti africani, con egiziani (quadruplicati rispetto al 2020) al secondo posto (515 corrispondenti al 10 per cento del totale, di cui la metà effettivamente rimpatriati), marocchini al terzo (420, ovvero 8 per cento, con solo 4 rimpatrii), nigeriani al quinto (215, 4 per cento, di cui nemmeno un quarto rimpatriati).
Nonostante queste “sistematiche violazioni dei diritti umani”, commenta ancora Borlizzi, nessun provvedimento di correzione ai diritti loro negati sembra essere all’orizzonte, e tanto meno d’attualità sono riflessioni sui costi sociali e sulle implicazioni civiche di tali politiche.