di Stefania Ragusa
In Senegal, una leggenda preislamica rielaborata dentro l’islam rivive in uno straordinario format di teatro di strada. Il Simb Gaïndé è un’espressione del “patrimonio immateriale” che resiste, a dispetto dell’assedio dell’urbanizzazione e del forzoso edulcoramento delle performance. Lo spettacolare show dei “falsi leoni” raccontato da una involontaria coprotagonista a Dakar
Salaali Muhamet. Walaali Muhamet. Diikum, daakum, sàkkajaa, màkkajaa. Il mio amico Abdoulaye prova a istruirmi mentre esco da casa sua. «Se Simbkat ti prende, tu digli queste parole. Lui cadrà in trance e ti lascerà andare». Salaali Muhamet. Walaali Muhamet. Diikum, daakum, sàkkajaa, màkkajaa. In questa cantilena, sostanzialmente intraducibile, è chiaro però il riferimento al profeta Mohamed. Abdoulaye la ripete più volte, senza incepparsi. Per me non c’è verso di memorizzarla. «Pagherò il biglietto, Abdoulaye, così non rischierò di essere acciuffata».
Uomo o leone?
Sono diretta a Medina, uno dei quartieri più antichi della capitale, un tempo malfamato ma oggi segnalato da tutte le guide turistiche per i suoi murales e la vivacità artistica. Alle 19, o forse alle 20.30, avrà inizio la performance dei falsi leoni, in wolof simb gaïndé, un’espressione di teatro di strada che appartiene alla tradizione senegalese e che, al di là dell’aspetto ludico, è molto interessante sul piano culturale. Rivela infatti le radici animiste di un Paese al 95 per cento musulmano. Il Simb Gaïndé si richiama a una leggenda preislamica ma rielaborata dentro l’islam e che trasforma un rito di possessione animista in intrattenimento.
Protagonista è un uomo, chiamato Père Ngom, che si avventura nella foresta per procacciarsi il cibo e incontra un leone. Incredibilmente, l’uomo riesce ad avere la meglio sulla belva e ritorna al villaggio, ma drammaticamente trasformato. Il suo corpo è ricoperto di lunghi peli; dalla sua bocca escono ruggiti invece di parole; l’unico cibo che riesce a mangiare è la carne cruda. Lo spirito del leone aveva insomma trovato posto nel suo essere. I guaritori tradizionali (fajaat), capaci di ammansire le fiere con la voce, si industriarono per curare Pére Ngom e finalmente riuscirono a trovare il jat (le parole curative) in grado di farlo scivolare nel sonno e liberarlo dallo spirito che si era impossessato di lui. Quelle parole erano, quasi inutile dirlo: «Salaali Muhamet. Walaali Muhamet. Diikum, daakum, sàkkajaa, màkkajaa», e sono arrivate fino a noi.
L’importanza del biglietto
Dal suo esordio lontano nel tempo a oggi, lo spettacolo del Simb Gaïndé ha continuato a mettere in scena quell’antica vicenda. Dal Waalo, la regione al confine con la Mauritania in cui ha origine la leggenda, si è diffuso in tutte le altre, toccando villaggi e città e resistendo all’urbanizzazione. A Medina, Fass, Ngor, Yoff e in altri quartieri di Dakar non è difficile imbattersi in uno spettacolo di Simb, in particolare in occasione delle festività e delle vacanze estive. Per sapere dove e quando, basta chiedere in giro.
L’ingresso alla via, già piena di sedute improvvisate e di bambini vocianti, è stato chiuso per consentire l’acquisto dei biglietti e la distribuzione delle relative ricevute. Ogni ingresso costa 500 franchi cfa, l’equivalente di 75 centesimi di euro. Questo elemento, il biglietto da acquisire ed esibire, è fondamentale, come vedremo, per l’intera performance. Un gruppo di giovani sta suonando il djembe. Da qualche parte, al riparo dagli sguardi dei potenziali spettatori, sono in corso le operazioni di trucco e parrucco dei falsi leoni.
È una preparazione lunga e laboriosa. Non tanto per il setting – è sufficiente un tendone e uno spiazzo delimitato da sedie e sgabelli – quanto per la “costruzione” dei personaggi. I falsi leoni sono truccati e pettinati in modo da evocare grossi e feroci felini, hanno le membra dipinte e indossano costumi molto strutturati, portano pelli e cinture ornate da cauri e perline.
In un Simb Gaïndé degno di questo nome i falsi leoni sono almeno tre. A Medina, questa sera, ne conto cinque. Irrompono uno alla volta, ruggendo e ballando, indifferenti all’afa, sostenuti dal ritmo del sabar, la musica incalzante che accompagna le sensuali danze senegalesi. Li affiancano altri personaggi, mascherati e travestiti da donne: le pantere.
Io tengo saldamente in mano il mio biglietto, in modo che tutti possano vedere che ho pagato. Al Simb Gaïndéc’è sempre qualcuno – grande o piccolo – che s’intrufola senza pagare. E questi “portoghesi”, come preannunciato da Abdoulaye, diventeranno le prede dei falsi leoni. Prede consenzienti, ça va sans dire, che attendono con trepidazione di essere scoperte, rincorse, acciuffate. Se non saranno in grado di ammansire i falsi leoni recitando il jat, saranno portate nel cerchio del ballo e costrette a danzare. Il teatro africano non separa mai nettamente gli attori e gli spettatori e chiede spesso una collaborazione tra le parti. Simb non fa eccezione. Conferma la regola alla perfezione.
Rischio declino
In passato gli inseguimenti erano ben più rocamboleschi e violenti di quanto non siano oggi, mi racconta Adja, una vicina di sgabello molto simpatica e ciarliera. I leoni erano davvero aggressivi e feroci. Il corto Simb, le jeu dufaux lion, realizzato nel 1969 da Momar Thiam, uno dei padri della cinematografia senegalese, rende bene l’idea. Purtroppo non è facile reperire questo prezioso documento.
Per ragioni di sicurezza, considerando il format dello spettacolo immodificabile, era stato deciso qualche anno fa di vietarlo tout court. Le proteste di spettatori, cultori delle tradizioni e ovviamente degli attori hanno portato a un ripensamento e al compromesso attuale. Oggi l’allestimento di ogni spettacolo deve essere autorizzato e le maniere forti sono messe al bando. I falsi leoni, insomma, hanno dovuto da un lato addolcire le proprie maniere, dall’altro rinunciare all’estemporaneità e alla totale libertà di esibizione. Misure ragionevoli che però rischiano di mettere in crisi questa tradizione. In particolare perché, togliendo l’estemporaneità, diventa più difficile la trasmissione generazionale di questa arte. «Non ci si improvvisa falsi leoni e tra i giovani non c’è più tanto interesse», si rammarica Adja. A mano a mano che la città avanza e i condomini crescono in numero e in altezza, diminuiscono gli spazi e le occasioni per esibirsi e fare proseliti. «A Medina siamo fortunati, perché c’è ancora un’aria da villaggio».
In un articolo di qualche anno fa, il ricercatore Joseph Ndione aveva espresso preoccupazioni simili a quelle di Adja e anche il timore che il senso profondo del Simb Gaïndé e la sua dimensione storica e antropologica andassero perduti. La tradizione dei falsi leoni è un patrimonio immateriale insidiato dall’urbanizzazione e dall’oblio. Sarebbe importante trovare il modo di distinguere i professionisti dai ciarlatani e riconoscere ai veri Simb lo status di artisti. Lo scrittore senegalese Massamba Guèye ci ha provato nel 2013, pubblicando insieme con il fotografo Laurent Gudin il volume Simb. Légendes et traditions sénégalaises. Le spectacle des faux lions, tributo ad alcuni storici rappresentanti di questa forma di teatro.
Adesso che il jat lo avevo imparato…
Il falso leone interrompe la conversazione tra me e Adja per tirarmi dentro il cerchio. Ma io ho pagato il biglietto, protesto. Stringo la prova nella mia mano. Niente da fare. Sono l’unica toubab (bianca) in circolazione e non posso sottrarmi alla danza. Non prendo nemmeno in considerazione l’ipotesi di mormorare il jat. Non riesco a mettere in fila le parole magiche. Mi rassegno così ai miei tre minuti di imbarazzata e goffa celebrità. I bambini ridono, le donne pure, i leoni apparentemente no. La pesante maschera del trucco non fa trasparire nessuna emozione e il loro mandato è quello di non proferire parole, solo ruggiti.
Per una toubab di mezza età e non particolarmente allenata, ballare nell’afa estiva dakaroise è stremante. Così, non appena ne ho la possibilità, esco dal cerchio e prendo congedo. Tornerò un’altra volta, dico ad Adja.
Effettivamente, a distanza di qualche giorno, mi organizzo per un nuovo Simb Gaïndé, ancora a Medina. Ho pronti i soldi del biglietto, ma nel frattempo ho ben imparato il jat a memoria. Non mi servirà. Arrivata alla piazzola designata scopro infatti che lo spettacolo è stato annullato. C’era tensione in Senegal in quei giorni per l’arresto dell’oppositore Ousmane Sonko e sono stati vietati gli assembramenti. Il mio prossimo Simb Gaïndé è stato rimandato a momenti più tranquilli.
Questo articolo è uscito sul numero 6/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.