di Enrico Casale – foto di UNSOM/UNIDO
Nella capitale della Somalia fioriscono incubatori tecnologici per startup e spazi di coworking per imprenditori tecnologici. Dopo trent’anni di guerra civile, la Somalia ha voglia di pace, stabilità e sviluppo. Lo testimoniano i giovani che frequentano gli hub tecnologici, dove si condividono idee e si collabora per creare imprese e opportunità di lavoro. E le ragazze sono protagoniste assolute
Lo sguardo si affaccia su un quartiere moderno. In fondo, si vede il mare. Sull’ampia terrazza si aprono gli ingressi di alcuni uffici, una sala di intrattenimento e un bar. All’interno, ragazze che seguono lezioni di programmazione per computer, ragazzi che lavorano su prototipi di robot. Potremmo essere nella sede di una startup a San Francisco, o a Tel Aviv. Ci troviamo invece a Mogadiscio, la capitale della Somalia, dove da un anno sono attivi due “incubatori di impresa” finanziati dall’Unione Europea e sostenuti da Unido, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale. Sono strutture che guardano al futuro aiutando i giovani somali a sviluppare le loro idee imprenditoriali, a lanciarle sul mercato e a renderle sostenibili.
Il contrasto tra queste imprese innovative e la realtà somala non potrebbe essere più stridente. Per arrivare alla sede dei due incubatori si percorrono tutte le contraddizioni della società somala: posti di blocco continui da parte dei militari di Atmis (la missione di transizione dell’Unione Africana), strade sconnesse al limite della percorribilità, enormi cumuli di rifiuti. Una città, Mogadiscio, stretta tra la voglia di pace e stabilità dopo trent’anni di guerra civile (prima tra i clan e poi contro al-Shabaab, la filiale somala di al-Qaeda) e una realtà fatta di attentati ricorrenti che fanno decine di vittime.
Aria nuova
«Il nostro presidente ha detto che al-Shabaab sarà sconfitto nel giro di un anno. Io penso che ce ne vorranno almeno due per eliminare le milizie fondamentaliste». Non ha dubbi Jamila, giovane insegnante in uno degli incubatori. Secondo lei il destino della filiale di al-Qaeda è segnato. Ma da dove viene questo ottimismo? Al-Shabaab arruola giovani poveri, non istruiti, con nessuna formazione professionale né lavoro. Nelle promesse di al-Shabaab di una vita migliore hanno visto un’opportunità. Sono ragazzi vittime di anni in cui la Somalia era uno Stato senza autorità, senza legge, senza servizi per la popolazione. «Oggi», continua Jamila aggiustandosi i capelli sotto il velo islamico di colore nero, «le cose stanno cambiando. Lo Stato c’è, anche se debole. Le scuole hanno riaperto. I ragazzi e le ragazze possono studiare. Persone istruite e con un lavoro non hanno interesse ad aderire a una formazione estremista che offre, ora lo sappiamo, una sola prospettiva, quella della morte, della violenza e della distruzione».
Le forze armate somale hanno lanciato nei mesi scorsi una massiccia offensiva contro i santuari fondamentalisti. «I militari», conclude, «hanno ottenuto numerosi successi sul campo. Intere regioni sono state liberate e possono ora riprendere la vita normale. Pericoli? Ce ne sono ancora. Gli attentati, anche nella capitale, sono sempre dietro l’angolo. Il futuro però è segnato. I fondamentalisti saranno sconfitti e noi potremo tornare a essere un Paese normale che si gioca il suo futuro sui binari della pace e dello sviluppo. A partire dai giovani».
«Investire sui giovani»
I due incubatori sono proprio lì per aiutare ragazze e ragazzi a trovare una strada verso un futuro più stabile all’insegna dello sviluppo economico. IRise è nato dalla fiera del libro di Mogadiscio. «Gli ideatori di quell’iniziativa», spiega Ygor Scarcia, responsabile di Unido in Somalia, «hanno lanciato il Mogadiscio Tech Summit, un evento per celebrare le startup e l’imprenditoria giovanile somale. L’iniziativa ha avuto un grande successo e da qui ha preso il volo iRise».
Simad iLab è invece legato alla Simad University fondata dall’attuale presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamud, grazie ai finanziamenti del Kuwait. Entrambi gli incubatori lavorano sulla formazione professionale, sulla capacità di creare e gestire imprese e su come accedere al credito. Lo sviluppo di imprese fa leva sulle nuove tecnologie, ma anche su aziende tradizionali per creare un circolo positivo che possa accompagnare la crescita del Paese. «È importante mettere in evidenza», continua Scarcia, «che l’Onu lavora non solo per rispondere alle emergenze umanitarie (siccità, inondazioni, flussi migratori, ecc.), ma investe anche per far crescere competenze che possono aiutare l’intera comunità a uscire dal circolo vizioso della povertà e della misera. Noi lavoriamo affinché, nel tempo, questi incubatori diventino autosufficienti, fornendo alle imprese servizi per l’innovazione tecnologica, le certificazioni, la formazione, il networking, ecc. È un modo di creare un volano per l’economia locale».
«Il futuro è nelle nostre mani»
Un volano che sta iniziando a girare e a produrre i primi effetti. «Sto studiando programmazione», racconta Naima, una ragazza che frequenta l’incubatore Irise. «Imparare a gestire un computer può rappresentare il futuro per me. So che, come è avvenuto in Kenya, alcune imprese occidentali intendono investire in Somalia per creare centri tecnologici che servano l’Africa orientale. Avere competenze di questo tipo può quindi aiutarmi a inserirmi in questo settore e a rendermi autonoma economicamente». Programmazione, ma anche robotica, stampanti 3D e tutte ciò che riguarda la Stem Education (Science, Technology, Engineering, Mathematics).
«Al Simad iLab», osserva Marian stendendo le mani sul tavolo e scoprendo i bellissimi tatuaggi con l’henné disegnati sui polsi, «abbiamo un laboratorio attrezzato. Qui possiamo fare esperienza delle tecniche più evolute in campo informatico e ingegneristico. Quando la Somalia potrà godere di un sistema stabile, speriamo presto, queste competenze saranno fondamentali per collegarci al resto del mondo. Io mi sto preparando per riuscire a dar vita a una startup in campo ingegneristico per assistere le aziende che, ne sono sicura, investiranno da noi in futuro. Il futuro dobbiamo costruircelo, nessuno ci regalerà nulla».
«Insieme si può»
Molte giovani somale faticano a inserirsi nel mondo del lavoro. Scontano ancora una cultura patriarcale che predilige i figli maschi e porta le donne a occuparsi solo della famiglia. «Molte ragazze», osserva Jamila, «non studiano e non hanno neanche accesso a internet e ai social network. Noi dobbiamo andare casa per casa a far loro conoscere le opportunità di questi incubatori che scommettono sui giovani, e in particolare sulle giovani, e per aiutarle a rendersi indipendenti». Queste donne vengono aiutate ad apprendere lavori semplici ma indispensabili. Piccole attività commerciali e artigianali che possono ricreare un tessuto di piccole imprese. «Stiamo imparando le tecniche della sartoria», osserva Noor, «insieme ad alcune amiche vogliamo creare una cooperativa di taglio e cucito. Un detto somalo recita: “Un dito non può lavare l’intera faccia, una mano sì”. Insieme ce la possiamo fare, ne sono sicura».
Gli incubatori serviranno anche a connettere le imprese somale con imprese di altri Paesi. «Una startup europea», conclude Ygor Scarcia, «sta realizzando una bioplastica in grado di assorbire e rilasciare acqua. Può essere che in futuro sia interessata a sperimentare questa tecnologia in Africa. L’incubatore potrà metterla in contatto con startup somale. Si potrà così creare una partnership tra imprese. La capacità di guardare all’economia anche al di là dei suoi confini è una scommessa che dobbiamo affrontare se vogliamo che la Somalia possa uscire dalla crisi in cui vive da anni. Da troppi anni».
Questo articolo è uscito sul numero di 5/2023. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.