Le autorità della Tanzania ritengono che la crescita della popolazione maasai sia diventata una minaccia per la fauna selvatica e per questo hanno lanciato un programma di trasferimento “volontario”. “Viviamo qui da un secolo, il vero motivo è il business turistico”
di Angelo Ferrari – Agi
Sui maasai della riserva naturale tanzaniana del Ngorogoro pesa il rischio dello sfratto forzato se non aderiranno al programma di ricollocamento volontario voluto dalle autorità con lo scopo di salvaguardare le aeree di interesse turistico per i safari, facendo prevalere il business turistico sul benessere di una popolazione che vie da più di un secolo in quell’area.
Nel “mirino” del governo tanzaniano, infatti, ci sono circa 82 mila maasai che vivono in quella regione. Intanto, le prime famiglie hanno lasciato la Riserva Naturale di Ngorongoro, nell’ambito di un “programma di ricollocazione volontaria lanciato dal governo tanzaniano”, ma descritto come “sfratti” da parte di attivisti per i diritti umani.
I maasai vivono da più di un secolo nel cratere di Ngorongoro, patrimonio mondiale dell’Unesco nel nord della Tanzania. Ma le autorità ritengono che la crescita della popolazione maasai sia diventata una minaccia per la fauna selvatica e per questo hanno lanciato un programma di trasferimento “volontario”.
Venti famiglie hanno lasciato Ngorongoro, delle 296 che hanno accettato di andare a vivere nella regione di Handeni, 600 chilometri a sud, ha detto il prefetto della regione di Arusha, John Mongella. “Non ci sono sfratti qui, tutti quelli che se ne vanno si sono registrati volontariamente e il governo li sta aiutando”, ha insistito.
Nel corso degli anni, il governo ha imposto restrizioni alle comunità maasai residenti nella riserva – come spiega Bruna Sironi in articolo pubblicato da Nigrizia – quali la proibizione di coltivare su piccola scala, di costruire nuove case, di raggiungere fiumi e grotte dove possono abbeverare e proteggere le mandrie. Tutto ciò ha ridotto il reddito dei maasai. Secondo le popolazioni, le politiche governative hanno l’obiettivo di costringerli a lasciare la loro area nativa “volontariamente” rendendo impossibile viverci dignitosamente.
Il programma di ricollocamento, infatti, divide la comunità maasai, molte dei quali vivono da sempre in questa regione, e suscita l’opposizione degli attivisti per la tutela dei diritti umani. “Questo sfratto non è mai stato volontario per la popolazione di Ngorongoro”, ha detto alla France Presse, Joseph Oleshangay, avvocato e attivista per i diritti umani. La Tanzania consente alle comunità indigene, come i maasai, di vivere in alcuni parchi nazionali.
Dal 1959, la popolazione che vive a Ngorongoro è aumentata da 8.000 a oltre 100.000 persone, mentre le mandrie di bestiame sono cresciute da circa 260 mila capi nel 2017 a oltre un milione di oggi. Un fattore, questo, che fa entrare in rotta di collisione i maasai e le loro mandrie con la fauna selvatica e “Ngorongoro si sta perdendo”, ha detto lo scorso anno il presidente Samia Suluhu Hassan.
È del tutto evidente che è in atto uno scontro su modelli di conservazione ambientale: espellere le popolazioni native o coinvolgerle nella gestione e valorizzazione degli habitat. Il governo della Tanzania sembra privilegiare il primo modello. Secondo molti esperti, tuttavia, non è provato che la presenza dei gruppi nativi vada a discapito della conservazione ambientale, mentre è provato che la pastorizia è del tutto compatibile con la vita della fauna selvatica.
Da diversi anni i maasai accusano le autorità tanzaniane di volerli espellere dai loro habitat storici e naturali per trasformarli in aree per safari o caccia privata, cosa che il governo nega. Lo scorso fine settimana, infatti, si sono verificati scontri a Loliondo, 125 chilometri a nord di Ngorongoro, tra la polizia e i maasai che si sono opposti all’installazione di “fari” che separano aree di habitat umano e animali selvatici. Il governo afferma di voler proteggere da tutte le attività umane circa 1.500 chilometri quadrati dei 4.000 chilometri quadrati di quest’area vicino al Parco del Serengeti.
Un agente di polizia è stato ucciso in questi incidenti, secondo le autorità e gli esperti delle Nazioni Unite. Questi ultimi hanno anche verificato che ci sono stati 30 feriti provocati dalle forze dell’ordine che hanno utilizzato proiettili veri.
Venerdì della settimana scorsa, il premier Kassim Majaliwa ha assicurato al Parlamento che “a Loliondo non sono previsti sgomberi”. Gli esperti delle Nazioni Unite, tuttavia, si dicono “preoccupati per i piani della Tanzania di trasferire quasi 150mila Maasai dalla riserva naturale di Ngorongoro e Loliondo senza il loro consenso libero, preventivo e informato. Questo potrebbe equivalere a espropriazione, sgombero forzato e sfollamento arbitrario proibiti dal diritto internazionale”.
Amnesty International ha definito l’operazione Loliondo uno “sfratto forzato illegale, scioccante sia per la sua portata che per la brutalità. Le autorità devono interrompere l’operazione di demarcazione e sicurezza in corso a Loliondo e avviare consultazioni significative con la comunità”, ha affermato la Ong in una nota. In visita a Loliondo, il ministro dell’Interno, Hamad Masauni, ha ordinato alla polizia di effettuare sul posto “una verifica e un’indagine su tutte le Ong operanti”, ritenendo che “le loro operazioni non devono in alcun modo turbare la sicurezza nazionale.
Il governo intraprenderà un’azione decisa contro tutte le Ong che infrangono le regole”. Nel 2009, migliaia di famiglie maasai sono state trasferite da Loliondo per consentire a una compagnia di safari degli Emirati, la Ortelo Business Corporation, di organizzare spedizioni di caccia. Il governo ha annullato questo accordo nel 2017, dopo l’accusa di corruzione.
(Angelo Ferrari – Agi) – foto di apertura di Bruno Zanzottera